Questa delicata partitura scenica di Manfredini, composizione geometrica di brevissimi quadri narrativi, trova una sua misura formale nella potenziale provvisorietà del testo: non un’architettura cristallizzata per mano dell’autore, ma un lavoro aperto a continua crescita, eventualmente anche durante il lavoro collettivo delle prove. Resta semmai fissato lo spazio estetico di riferimento, un universo dove il poetico si genera dall’impoetico; un universo perciò rafforzato dalla presenza narrativa di Genet coi frammenti del suo testo “Nostra signora dei fiori” che, raccontati da una voce registrata, sostituiscono lo spettacolo del cinema o ne diventano una possibile ipostasi.
Manfredini racconta un’umanità fuori dalla regola, e dunque fragile, attraverso i personaggi che attraversano un cinema porno, identificando la marginalità sociale con l’alterità sessuale. Per una società che si riconosce nella norma esiste un’unica modalità del non-conforme: transessuali, omosessuali, prostitute, travestiti, marchettari sono tutti egualmente partecipi dell’altro cielo, luogo della periferia umana che viene identificato, appunto, con il cinema porno. Si fa evidentemente riferimento ad un sentire sociale e ad un’etica storicizzata, cosicché il tempo dell’azione viene arretrato agli anni ’70. Ma non c’è rivendicazione né orgoglio della disobbedienza nei protagonisti; semmai la nostalgia di una tiepida e irraggiungibile conformità, negata come un destino genetico. Perfino lo Stabat Mater di Pergolesi si leva nella sala cantato da due controtenori.
Il testo scenico ha una sua limpida forza poetica, anche se sembra scritto con troppa malinconia e poco coraggio. La qualità dell’esecuzione è affidata a una regia molto precisa e alla buona prova corale degli attori, versatili maschere alla disperata ricerca di un altrove, tra le quali lo stesso Manfredini si slancia come un corifeo lirico e comunicante.
Napoli, Teatro Mercadante - 21 febbraio 2006
Visto il
al
Era
di Pontedera
(PI)