Giovanni Testori è un autore di riferimento e di ispirazione costante, per Valter Malosti. Nel corso della sua carriera, l’artista torinese gli ha dedicato numerosi allestimenti che hanno ottenuto il favore unanime di critica e pubblico: basti ricordare Passio Laetitiae et Felicitatis, una produzione del Festival delle Colline Torinesi 2008, con protagonista una vibrante Laura Marinoni.
In tempo di Covid-19, lo spunto per riflettere proviene da Cleopatràs, che insieme a Erodiàs e Mater Strangosciàs fa parte dei Tre Lai, ovvero il testamento estremo di Giovanni Testori.
Lussuriosa Cleopatra
Anna Della Rosa è una Cleopatràs in evidente stato di grazia: un’eroina che, dopo aver oltrepassato ogni limite terreno con il suo amato Antonio, torna dal mondo dei morti per raccontarsi e svelare al pubblico il mistero dell’Amore. Il suo racconto è un florilegio di invenzioni linguistiche, con suggestioni che partono dalla Commedia di Dante fino al grammelot.
Come una soubrette sul viale del tramonto di una vita grandiosa – non per niente l'attrice utilizza in maniera esemplare un microfono ad asta in scena – Cleopatràs rievoca, attraverso lo sguardo rassegnato della memoria, le fasi salienti della sua vita, piena di eros e passione, amore e tenerezza. Ne emerge una figura lussuriosa, che assume delicati e strazianti contorni terreni e sensuali.
Un sorridente angelo nero
Nella sua ultima ora di vita, la Regina d’Egitto si prepara a raggiungere il suo Antonio oltre la morte, sperando che ci sia un’aldilà e che non finisca tutto in “merdità”.
Colui che porta il “fatal cestino” (contenente le aspidi) , in questo allestimento è un performer in carne e ossa (Marcos Vinicius Piacentini): un graziosa, nera figura (compiacente e ammiccante, ma sempre sorridente) che fa capolino sul palco, sempre con discrezione, semplicemente quale simbolo del rimpianto per la vita che Cleopatràs sta lasciando.
L’allestimento di Malosti si insinua in un piacevole equilibrio visivo tra astratto e concreto, grazie alla sontuosa e accogliente scenografia di Nicolas Bovey – in cui predominano il nero di uno studio televisivo e le pareti dorate di una lussuosa stanza d’albergo e al progetto sonoro di Gup Alcaro, che parte dalla musica di Puccini, con numerosi riferimenti alle sonorità egiziane contemporanee e alla musica elettronica.