Dall’incontro in una biblioteca di New York – probabilmente scritto nel destino di entrambi – e dalla forza di un legame di amore puro tra due giovani (Eitan, israeliano, nato da madre tedesca, e Wahida, di origine araba) si sviluppa il testo scritto dall’autore libanese Wajdi Mouawad: Come gli uccelli.
Marco Lorenzi, che ha adattato il testo in italiano con Lorenzo De Iacovo, porta in scena una saga famigliare che attraversa tre generazioni (dal 1967 al 2013) e tre continenti, tra conflitti e attentati che continuano ancora oggi a lacerare terre, popoli e culture.
Il rapporto tra genetica e cultura in una metafora
Un ingombrante muro sul quale vengono proiettati i passaggi salienti della vicenda – manovrato a vista dagli stessi attori sul palco – è l’elemento scenico essenziale che rappresenta l’Allenby Bridge, il ponte che collega e contemporaneamente divide Israele e Giordania, e sul quale Eithan resta vittima di un attentato che lo fa finire in coma.
Tale tragica circostanza diventa l’occasione, per tutta la famiglia, di scoprire e affrontare le verità nascoste, di combattere il demone dell’odio e superare le ideologie più rigide. In una dimensione simbolicamente “sospesa”, i piani temporali del racconto si intrecciano e sovrappongono, rappresentando sul palco quattro macro-scene, che indagano il rapporto tra genetica e cultura, identificate dall’autore attraverso una metafora attinente all’ornitologia (che coinvolge temi quali la bellezza, il caso, la disgrazia e il rapporto tra genetica e cultura, simboleggiato dall’ “uccello-anfibio”).
Identità rubate e retaggi perduti
Gradualmente, il pubblico si rende conto che la toccante, ma sfortunata storia d’amore tra Eithan e Wahida si scontra inevitabilmente con la realtà storica e diventa un ingegnoso pretesto per compiere una profonda indagine sull’identità culturale e quella genetica, attraverso il potente confronto emotivamente risolutivo tra Edgar (Aleksandar Cvjetković), il nonno di Eithan, e l'integerrimo David (Elio D'Alessandro), nel corso del quale quest'ultimo scopre di essere stato privato del proprio retaggio culturale, con il conseguente crollo del sistema di valori nei quali ha sempre creduto. E il suo cuore non regge questa rivelazione.
La forza emotiva della parola
La regia di Marco Lorenzi sfrutta l’importanza e la forza emotiva delle parole nel testo di Wajdi Mouawad, incentivando gli attori a immedesimarsi al meglio nelle tradizioni e nella cultura dei personaggi che interpretano, recitando anche in una lingua diversa dalla propria.
L’apparente indifferenza di Irene Ivaldi (nei panni della “nonna” di Eithan) è utile per comprendere la reale sofferenza interiore del suo alter ego più giovane, interpretato da Barbara Mazzi; a tenerle testa, a volte con eccessiva veemenza, ci pensa Lucrezia Forni, nei panni di Wahida. Federico Palumeri è in grado di sopportare la responsabilità di rappresentare la metà ancora fiduciosa nel futuro di una coppia destinata a soccombere alla Storia.
Complessivamente, questa struggente storia d’amore è sicuramente una delle regie più poetiche firmate da Marco Lorenzi.