Il primo Da Ponte Opera Festival vede la luce a Vittorio Veneto. Là dove – nel borgo di Ceneda - ebbe i natali nel 1749 Lorenzo Da Ponte, in un palazzetto dell'antico ghetto ora abbandonata; dimora che si auspica venga comperata e restaurata, con l'intervento provvidenziale di qualche sponsor, onde diventare un centro culturale: un appello in tal senso l'ha fatto persino Riccardo Muti.
Il Comune di Vittorio, da parte sua, ha appena rilevato con notevole impegno economico l'ottocentesco teatro della città dalla Fondazione Cassamarca, che a sua volta lo aveva comperato da privati, rinnovato con solerte cura e messo a disposizione della collettività dal 2002 con la nuova intitolazione al celebre librettista di Mozart.
Un teatro comodo, ma con un palcoscenico non ampio
L'ammodernamento del Teatro Da Ponte, dotandolo di evoluti apparati scenotecnici e d'una una rinnovata e confortevole platea, peraltro non poté porre rimedio ad un palcoscenico di ridotta profondità. Buon per la prosa, men per la lirica. Appropriata dunque la scelta caduta, al varo di questo nuovo Festival, su Così fan tutte, opera di soli sei personaggi e un piccolo coro, e di agevole ambientazione. Quindi assai semplice è l'apparato di scena proposto: una stanza da letto dietro, un salotto d'hotel davanti, tre piante, due sedie ed un tavolino a lato per il giardino.
Poche cose in scena, ma quelle giuste
Niente di straordinario, giusto quel che serve. Vi provvede Amber Reeves-Pigott, i cui costumi, disegnati con gusto e sobrietà, ci portano dritto ai giorni nostri. Inglese lei, inglese il regista Ed Madden, molto attivo nel settore della prosa, che trasforma Don Alfonso in un pacato e filosofante maître dell'albergo che ospita i quattro fidanzati in vacanza. Despina, inevitabilmente, è una cameriera ai piani, mentre i sei ragazzi del coro stanno a far da inservienti. Accorta e sapida regia, che corre veloce, asseconda la musica, diverte molto senza ammiccamenti ed esagerazioni.
Un festival meritevole di sviluppo
A ben vedere la denominazione di festival, per una piccola manifestazione che vede solo due masterclass per cantanti lirici con concerti finali, ed un'unica produzione operistica, appare un tantino pretenziosa. Le auguriamo nel futuro maggiori sviluppi, in fondo anche Zio Paperone iniziò la sua fortuna con poco trovando la sua prima monetina, la mitica Numero Uno.
Dietro l'intera operazione sta l'insegnante di canto inglese Andrew Foan, e l'istituzione didattica anglo-italiana MusicaLink con sede a Venezia. E' lui che vediamo salire sul podio e dirigere l'Orchestra Da Ponte Festival, estemporanea formazione cameristica di una ventina di elementi, i fiati ad uno.
Direzione piatta e voci inglesi
Intendiamoci. Sempre che per 'dirigere' si intenda solamente scandire metronomicamente il tempo con la bacchetta, lo sguardo pressoché fisso sulla partitura, imponendo all'esecuzione un andamento monotono, povero di varietà dinamiche ed agogiche. Mozart ne esce malconcio, ma per sua grazia ne esce comunque vivo. Né va meglio con il palcoscenico, lasciato alla sola sensibilità musicale degli interpreti, ai quali mai ci pare venga rivolto da Foan uno sguardo né suggerito un attacco, nemmeno nei recitativi, quando posata la bacchetta lascia il campo al solo cembalo.
Gli interpreti sono tutti relativamente giovani, preparati con l'aiuto del mezzosoprano e langual coach Giulia Laudano. Spicca su tutti per esperienza, indubbia bravura vocale e buona attitudine recitativa il baritono inglese Brendan Collins, grazie al quale possiamo godere un rifinito, ironico ed agile Don Alfonso. Bene, perché è lui il perno dell'opera. Non male anche la Despina del soprano spagnolo Elena Garrido Madrona: voce piccola, da soubrette, ma supportata da una irruente vivacità e da pieno possesso della scena.
Le due sorelle ferraresi sono il soprano britannico Charlotte Jane Kennedy, salda e piacevole Fiordiligi, che supera abbastanza bene le agilità della sua parte; ed il mezzosoprano italo-inglese Leila Zanette che delinea un'apprezzabile Dorabella. D'Oltre Manica anche i due loro amanti: il baritono Tim Bagley tratteggia uno spigliato, misurato e garbato Guglielmo; improponibile invece il Ferrando del tenore Tom Antoniw: viaggiando spesso sopra le righe, fa strazio del ruolo affidatogli in un perenne gloglottìo canoro.