Lirica
DA UNA CASA DI MORTI

Da una casa di morti emergono con forza Janáček e Dostoevskij

Da una casa di morti
Da una casa di morti © Fabrizio Sansoni

Debutto operistico in Italia per il giovane direttore bielorusso Dmitry Matvienko insieme al grande regista polacco Krzysztof Warlikowski in una produzione internazionale, seconda tappa di un progetto triennale su Leóš Janáček. La prima tappa è stata la rappresentazione di Kata Kabanova nella scorsa stagione, la prossima sarà Jenufa nel 2024.

GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA

Destino comune, senza futuro

Si tratta dell’ultima opera concepita dal grande compositore ceco, rimasta incompiuta e con un finale ricostruito in versioni diverse. Quella presentata al Teatro dell’Opera di Roma è la versione che gli studiosi unanimemente ritengono sia quella originale.

L’omonimo romanzo autobiografico di Fedor Dostoevskij, in cui l’autore narra le angosce e le sofferenze patite durante la lunga detenzione in una colonia penale in Siberia, descrive la condizione disumana dei detenuti che vivono una quotidianità senza speranza. Janáček si immerge nei meandri della condizione totalizzante della prigionia e concepisce una partitura corale, drammatica, dove la musica si confonde con i clangori violenti e claustrofobici del carcere. Le cupe atmosfere dei gulag e dei lager tante volte descritte, sembrano trovare in questa musica una tragica e profetica anticipazione.


Non ci sono protagonisti, ma trapelano dai brevi racconti della vita anteriore numerosi casi di ingiustizie; i colpevoli di piccoli reati hanno lo stesso destino di sofferenze dei criminali incalliti, le punizioni sono arbitrarie e crudeli.

La regia del pluripremiato Warlikowski è pervasiva e violenta. I personaggi si muovono sulla scena fissa con nevrotico dinamismo, evoluzioni di breakdance si alternano alla grazia di gesti atletici. L'alternativa alla noia di giorni sempre uguali è la messa in scena di spettacoli teatrali, i detenuti si trasformano nei personaggi del Don Giovanni o della Bella mugnaia, ma l’ambiguità della rappresentazione esprime sempre l’oppressione e la rabbia: tutti insieme, ma ognuno preda della propria solitudine e della propria nostalgia.

Sorvegliare e punire

Il video con l’intervento di Michel Foucault viene proiettato durante il prologo orchestrale, con i sottotitoli. Secondo il filosofo la struttura carceraria post illuminista è stata concepita per dare al detenuto la consapevolezza di essere sempre sorvegliato, nessuna libertà, nessuna intimità sono concesse, il carcere è tortura.


L’orchestra nelle mani decise del giovane Dmitry Matvienko esibisce senza titubanze un caleidoscopio di colori raramente ascoltato, una grammatica musicale nuova in cui i clangori degli ottoni sono moltiplicati dal protagonismo delle percussioni e da attrezzi e strumenti che riproducono i rumori della violenta quotidianità della prigione, l’invenzione ritmica domina anche l’espressività delle voci che non esprimono mai un canto disteso, solo un declamato dissonante mai risolto, una vera e propria rappresentazione della disperazione.

Tutti bravissimi sull’affollato palcoscenico, insieme alla superba prestazione vocale grande presenza scenica e una inattesa disinvoltura nei movimenti coreografici dei cantanti. Applausi piuttosto tiepidi che si sono accentuati quando è salito sul proscenio il bravo direttore.
 

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Visto il 27-05-2023