Più che De Rerum natura (a cui si ispira liberamente) è piuttosto il sottotitolo a dare l'idea dello spettacolo portato in scena in prima nazionale nel teatro antico di Pompei Scavi: De rerum natura [There is no planet B] di Davide Iodice su testo di Fabio Pisano.
Si fa infatti riferimento alla frase-slogan che è stata utilizzata da movimenti ambientalisti e da Greta Thunberg che in effetti diventa un personaggio protagonista dello spettacolo prodotto dal Teatro di Napoli - teatro Nazionale.
Il tema ambientalista disperso in una dimensione retorica
Lo sguardo contemporaneo legge l'antico dialogo tra natura e uomo attraverso 6 quadri-racconti che più che privilegiare (come forse il titolo lasciava intendere) il viaggio che vive nella relazione con la profondità di Lucrezio, utilizza le parole dello scrittore latino come pretesto, sfondo che si perde nel trambusto della parole contemporanee, nella serie di discorsi, fin troppo didascalici, sulla violenza dell'uomo sulla natura.
Di racconto in racconto si consuma retoricamente la storia di un mondo che sta per autodistruggersi grazie alle azioni umane verso gli alberi, verso la terra, con lo sfruttamento, con la guerra, con la mancanza di assunzione di responsabilità. L'operazione ha una chiara intenzione provocatoria, scomoda Lucrezio, ma la passione per la natura e la penna di Fabio Pisano, e l'ideazione di Davide Iodice non riescono nell'intento perché manca un ingrediente che forse è troppo nascosto dietro un obiettivo formativo: la poesia.
La ripetitività infantile, monito moralista sul futuro
Ad alcuni spettatori è sembrata più una rappresentazione scolastica, più un laboratorio che un vero spettacolo, ad altri è risultata lunga e particolarmente noiosa. Sta di fatto che, se pure non mancano spunti interessanti nella scenografia, nella regia e nei costumi, i "Quadri-denuncia" forse troppo ripetitivi perdono la loro carica eversiva.
Come accade nel racconto del caporalato con un extracomunitario (ben rappresentato da Wael Habib), o dell'orso polare-mamma e la sua storia tragica (ben espressa nella bella voce di Aida Talliente in un bel costume da orso realizzato dalla costumista Daniela Salernitano). Come accade per la bambina-futuro, Greta, che guarda il disastro incipiente e il senso di mancanza di acquisizione di responsabilità delle persone. Greta però da sincera e giovane voce, esempio di un futuro di cui i più giovani vogliono essere protagonisti, diventa icona di un coraggio di parole che rischiano di diventare pomposo slogan moralista.
Dobbiamo Sapere
Così accade. Un fastidioso tappeto musicale fatto di un coro di percussioni realizzati da oggetti riciclati sostiene la giovane donna che non recita ma urla retoricamente un incitamento alla nostra responsabilità, cadendo in un monito di cui tutti si sentono di condividere il messaggio di cui però non si sentono responsabili.
"Dobbiamo sapere..." Ma la parola non emoziona, prova a schiaffeggiare, ma il didascalico approccio sa di finto. Belle parole, risuonano come austeri e poco compassionevoli rimbrotti. Alla ricerca di una profondità perduta.