E' un omaggio all'Orpheus britannicus – Henry Purcell, il maggior compositore inglese del '600 – Didone e Enea nel giorno di Santa Cecilia, insolita commistione di testi e musiche offertaci da Ottavio Dantone e Pier Luigi Pizzi.
Per il secondo capitolo della Trilogia d'autunno in scena al Teatro Alighieri di Ravenna, hanno infatti inserito in una pagina celebrativa, Hail! bright Cecilia (nota anche come Ode to St. Cecilia Day's), una vetta del teatro d'ogni tempo, Dido & Æneas. Due composizioni di altissimo valore, vicine nel tempo, ma non nel carattere.
Due composizioni differenti fuse tra loro
La messinscena viene concepita da Pizzi come un festoso convegno di strumentisti, coristi e cantanti che entrano alla spicciolata, si salutano, si abbracciano, chiacchierano fra loro. Eseguono (e recitano, in qualche misura) la prima e più ampia parte della cantata dedicata alla patrona dei musicisti ed alla magnificenza dell'organo, quindi ci propongono l'intenso melodramma eseguito nel 1689 nel convitto femminile di Chelsea: tre atti fusi in un breve, serrato continuum drammatico.
Ed infine concludono con le ultime due pagine dell'Ode to St. Cecilia Day's. Sotto l'immaginifica guida di Pizzi tutto l'inedito spettacolo scorre fluido, con fine semplicità, immediatezza e sottile energia; e le scarne scene – in parte, le stesse del Ritorno di Ulisse della sera prima – danno l'immagine d'un nitido candore, con quell'eleganza e quella massima raffinatezza - screziate da piccole invenzioni coloristiche - che sono le cifre distintive di Pizzi. Gli stessi pregi che ritroviamo nel design degli abiti, semplici ma eloquenti, da lui ideati.
L'apoteosi della musica e della sua patrona
A dar forza all'Ode troviamo i componenti del Coro della Cattedrale di Siena preparati da Lorenzo Donati: una formazione giovanile di pregio, scattante ed assai duttile, ineccepibile nell'intonazione e dall'ammirevole impasto vocale. Cecilia c'è, ma è una presenza muta; i solisti sono il soprano Charlotte Bowden, i contralti Delphine Galou e Candida Guida, il baritono Mauro Borgioni, i bassi Gianluca Margeri e Federico Domenico Eraldo Sacchi.
Il giovane tenore sloveno Žiga Čopi ci seduce con un «'Tis nature's voice» di rotonda intensità, infondendo un'impronta onirica ed orientaleggiante ai suoi infiniti melismi che, altrimenti eseguiti, suonerebbero un po' sterili.
Una regina sedotta ed abbandonata
In Dido & Æneas, eseguita ovviamente senza il Prologo ricostruito da Edward Dent, un'appassionata Didone ce la offre Arianna Vendittelli. Voce non possente, ma di bella luminosità e dal timbro gradevole, dalla linea musicale ben controllata, portata ad una ottimale resa di chiaroscuri.
Mauro Borgioni – che la sera precedente impersonava l'Ulisse monteverdiano - infonde nel suo Enea non solo un voce ampia e solida, e ben timbrata; ma vi aggiunge – grazie ad un fraseggio vario ed articolato – tutta la necessaria espressività.
Nel mezzo, Charlotte Bowden rende tutta la tenerezza vibrante ed affettuosa di Belinda. Delphine Galou è una Maga ipnoticamente perfida, una vamp molto sexy, al pari di Chiara Nicastro e Paola Valentina Molinari, la due streghe; Candida Guida è un'ancella, Žiga Čopi il finto Mercurio, Jorge Navarro Colorado il marinaio.
Un'orchestra di eccellenza, un direttore di spicco
L'Accademia Bizantina, si sa, è una formazione di assoluta eccellenza, modulata di volta in volta secondo il repertorio da affrontare. Ma sempre su strumenti antichi. Il suo mèntore, Ottavio Dantone, la spinge ad un'esecuzione filologicamente ineccepibile, nondimeno per nulla compassata; al contrario fluida, vivace, esuberante e ricca di colore, con ampia varietà di timbri, legittime scelte agogiche, riuscendo ad ottenere da tutti – strumenti e cantanti – un efficace arco narrativo pur nell'insolito mélange di testi e musiche.