C'è qualcosa de El burlador de Sevilla di Tirso De Molina, qualcosa del Dom Juan di Molière nel Don Giovanni mozartiano che Alfredo Corno ci consegna al Teatro Sociale di Rovigo, del quale firma regia scene e costumi.
Non solo perché la scenografia, satura di richiami barocchi – luci molto calde, luci di proscenio, aulici fondali ed un continuo movimento di colonne palladiane- rinvia alle tavole d'antichi teatri. Non solo perché tra i bei costumi settecenteschi spiccano la paludata veste e la parrucca seicentesca del Commendatore. Ma, a ben vedere, nello spirito stesso che intride questa sua mise en scéne.
Don Giovanni anarchico e ingrugnito
Eh sì, poiché la drammaturgia impostata dal poliedrico maestro milanese offre un'acida visione del protagonista, reso come «un anarchico che rifiuta il rispetto di ogni convenzione sociale, regola o legge (...) ma che non ha alcun ideale da perseguire». Un individuo losco e rapace indifferente al male che cagiona, «perennemente insoddisfatto, ingrugnito - non lo si vede mai sorridere - insensibile anche all’ambiente che lo circonda».
Abbietto ed opportunista, il Don Giovanni di Corno possiede insomma molto del cinico miscredente che dalla Spagna del 1616 trasmigrò alla Parigi del 1665. E meno del beffardo ammaliatore tratteggiato dal binomio Mozart/Da Ponte e portato in scena nella Praga del 1787.
Un buon esempio di spiccata teatralità
Sia come sia, questo suo spettacolo risulta assai lineare nello svolgimento, e ben curato nella restituzione psicologica dei personaggi. E pur nella semplicità del progetto scenico - con palesi citazioni del teatro d'antan, con fulminei cambi a vista grazie ai servi di scena, e con piccole accorte annotazioni come il tenere i bagagli di Don Giovanni sempre in primo piano, a marcare il suo spirito errabondo ed inappagato – è sostenuto da un'immediata teatralità.
Una concertazione apollinea
In buca suona l'Orchestra Filarmonia Veneta, in formazione “a due” alleggerita nel peso, colorita nei timbri ed abbastanza precisa da permettere a Massimo Raccanelli di impostare un equilibrato disegno orchestrale. Una direzione un po' patinata, se vogliamo, ma non indifferente agli impulsi drammatici, corretta nelle scelte agogiche e generosa nella resa dei colori. Più classicamente apollinea e spensierata, piuttosto che intrisa di fremiti preromantici. Una concertazione à la Karl Böhm, per intenderci. Il Coro Kairos Vox, duttile formazione cameristica preparata da Alberto Pelosin, interviene sempre a proposito.
Un protagonista rapace e focoso
Il ruolo del titolo sta nelle mani di Christian Federici. Un Don Giovanni dalla vocalità di pasta densa e solida, dalla gamma estesa ed omogenea, gradevolmente timbrata. Si impone in scena per la prestanza fisica e la resa d'una sagoma a tutto tondo – la regia in questo lo guida bene – rapace e focoso ad un tempo, senza però mostrarsi né volgare né istrionico.
Accanto a lui, degno complice d'avventure, il Leporello di Rocco Cavalluzzi si segnala per vivida condotta scenica e per le buone doti vocali, governate con varietà di fraseggio e fantasia d'accento. Sin dall'entrata in scena, la ragguardevole Donna Elvira di Valentina Mastrangelo tiene banco: voce ampia, morbida, dal timbro vellutato naturalmente tendente al brunito, ben controllata e sicura nei passaggi di registro, ricca di belle sfumature.
Donn'Anna è affidata ad Elisa Verzier, con risultati così così. Il profilo espressivo non risalta bene come dovrebbe, per ridotta incisività; eppure il bagaglio vocale sarebbe di per sé interessante e ben costruito, e senz'altro adeguato a rendere l'aristocratica figura affidatale.
Con Don Ottavio non ci siamo
Il tenore Giuseppe Talamo, artista che peraltro si è esibito nonostante un'indisposizione preannunciata, porta in scena un impacciato Don Ottavio, incerto negli abbellimenti e ondivago nell'intonazione. L'agile Masetto di Francesco Toso viene sostenuto con corposa agilità e buon timbro pastoso; la Zerlina di Maria Chiara Ardolino sa parere fresca ed aggraziata, ma la voce da sopranino è flebile ed acerba. Saldo ed autorevole il Commendatore del basso Carlo Malinverno.
L'allestimento è una coproduzione di Rovigo con la rassegna CortinAteatro e il Festival Internazionale di Musica di Portogruaro, dove è andato in scena ad agosto.