Tante cose porta con sé la prima assoluta dell’opera Dorian Gray, andata in scena al Teatro Comunale di Bolzano. Ispirata al celebre romanzo di Oscar Wilde, chiude la stagione teatrale 2023-24 della Fondazione Haydn di Bolzano e Trento che l'ha commissionata, segnando nel contempo l'epilogo del lungo incarico di direttore artistico per Mattias Lošek, fiero promotore della contemporaneità.
E conclude pure il ciclo, da lui promosso, di composizioni inedite tratte da classici della letteratura inglese. Un itinerario che ha visto man mano succedersi A Christmas Carol (2016), Alice (2021) e Peter Pan-The Dark Side (2023), opere affidate rispettivamente a Iain Bell, Matteo Franceschini, Wolfgang Mitterer.
L'intreccio fra musica e parola
C'è poi il fatto che la commissione di Dorian Gray è andata di nuovo a Matteo Franceschini, uno dei più validi ed interessanti compositori italiani d'oggi. Leone d'argento per la musica alla Biennale di Venezia 2019, l'artista trentino, che ha alle spalle innumerevoli esperienze multidisciplinari, ha proposto al Comunale una partitura vitale ed intensa, dalla compatta costruzione, ma articolata timbricamente con estrema fantasia.
Un'opera teatrale massimamente espressiva, sia nel trattamento della variegata compagine strumentale, sia nel non facile compito affidato alle sette voci soliste: ora trattate più melodicamente, ora spinte verso un energico sprechgesang; sempre tenute, cioè, a metà fra canto e recitazione. Uno stretto intreccio fra musica e parola che a monte ha quattro anni di preparazione.
Lingua tradizionale ma originale
C'è poi la vigorosa e coinvolgente riduzione letteraria di Stefano Simone Pintor, che sceglie di mantenere la lingua di Wilde, ma non si sente costretto a seguirlo pedissequamente, elaborando una drammaturgia nuova e molto originale, mediante opportune ed intelligenti modifiche.
Scandisce il suo libretto, concluso da un veloce Epilogo, tramite sei capitoli dedicati ad altrettanti personaggi: Basil Hallward, il pittore del ritratto; Sybil Vane, la giovane attrice suicida; Alan Campbell il chimico; la ninfomane Gladys, duchessa di Monmouth; James, il possessivo fratello di Sybil; lord Harry Watton, maligno mèntore di Dorian Gray.
Quanto al giovane Dorian, entra ed esce di continuo, quasi un'apparizione ectoplasmatica. Pintor si prende carico pure della regia, e lo fa con quella felice propensione alla scena che gli è consueta, montando uno spettacolo compatto, vorticoso, che mai stanca nelle due ore buone di durata senza pausa. Scelta giustissima, per non far flettere un arco drammaturgico sempre teso sino alla risoluzione finale.
La società vittoriana, sepolcro imbiancato
Insieme, compositore e drammaturgo/regista portano lo spettatore a confrontarsi con le spinose e pungenti riflessioni di Wilde sul perbenismo ipocrita della società vittoriana, sulle insopprimibili pulsioni passionali, sul male che possiamo fare a noi e provocare agli altri; e sul doppelgänger, il doppio ego che c'è in ognuno. Bene e Male, Amore e Morte, temi eterni.
Come eterna è l'ossessione per un'intatta bellezza, per un'eterna giovinezza: un tempo rappresentata dal mito di Faust, oggi da certe miracolose fialette che spianano antipatiche increspature dermiche. Le eloquenti scenografie - che pongono in galleria i conturbanti adolescenti delle tele di Henry Scott Tuke, e un continuo tripudio di cornici vuote - le dobbiamo a di Gregorio Zurla, i costumi ad Alberto Allegretti; le sapienti luci sono di Fiammetta Baldiserri; i video sono elaborati da Virginio Levrio.
Sette voci, sette attori, un valido conduttore
Sette cantanti/attori agiscono sul palcoscenico, estremamente scattanti, efficienti, assai ben affiatati. Sono l'efebica mezzosoprano francese Laura Muller (Dorian); il baritono francese Mathieu Dubroca (l'equivoco Harry); il tenore argentino Manuel Nuñez Camelino (il pittore Basil); il soprano Giulia Bolcato (la fragile Sybil); il basso-baritono francese Alexandre Baldo (Alan); il tenore Ugo Tarquini (James); il mezzosoprano Elena Caccamo (la fascinosa, perversa Gladys).
Compito del maestro bulgaro Rossen Gergov coordinare loro e l'Orchestra Haydn. Compito assai impegnativo. Torna a Bolzano dopo avervi diretto nel 2016 Written on Skind di George Benjamin, e dà conferma della sua competenza musicale e delle indiscutibili doti di acuto concertatore, tenendo serrate le fila di strumenti e cantanti alle prese con una partitura del tutto nuova e di realizzazione non poco complessa.