Di tutti i testi sapienziali del canone biblico, il Qohelet – o Ecclesiaste, a partire dalla versione greca – è fra quelli meno conformi alla dottrina scolastica della Chiesa. Scritto probabilmente tra il III e il II secolo a.C. in un ebraico contaminato di aramaico e di persiano, il libro tratta dell’immobile vacuità dell’esistenza terrena – la vanitas vanitatum che Leopardi rese magnificamente con «l’infinita vanità del tutto» – senza peraltro opporre la certezza metafisica di una vita immortale; un atteggiamento che, secondo alcuni studiosi, conterrebbe perfino il germe dell’eresia epicurea.
Quale, allora, il senso di un lavoro, impostato sulla riflessione religiosa, che adotta come epicentro filosofico il punto di vista di Qohelet? Lo spettacolo conferisce un significato forte a questa scelta: la meditazione sull’uomo non si muove in prospettiva del divino ma, al contrario, la divinità è invocata come una possibile ermeneutica del quotidiano. Non potrebbe esser altro, d’altronde, il punto di vista di un sacerdote che ha rivolto il proprio apostolato alla tutela dell’umanità più debole; lontano dalla teologia del dogma e dalle consolazioni universali, don Gallo propone una lettura dei testi sacri appassionata e inquieta, incarnata nella vita, aperta alla ricerca e all’interpretazione. I versi pietrosi ed enigmatici di Qohelet sono la miglior sorgente per una riflessione che non cerca risposte definitive, ma sostanziali; che aspira al confronto schietto con altre visioni religiose senza illudersi di detenere una verità più alta; che non teme neppure il dialogo col pensiero ateo e considera il relativismo etico come una fruttuosa espressione di molteplicità, piuttosto che un imbarazzante modello da demonizzare. È incontenibile don Gallo sulla scena; sui versi del testo biblico, del Corano, del Sutra del Loto, del Bhagavad-Gita, elabora la sua riflessione che s’imbeve di realtà, guidato dalla potenza di un’etica umana che aggira gli inciampi di una teosofia distante ed arbitraria. Parlando di aborto, l’attenzione è rivolta al dolore della scelta, non all’intransigenza del peccato; parlando di omosessualità, la compiutezza autentica dell’amore prevale sulla convenzionalità della forma.
La scena, essenziale, è animata dall’intensità dei suoi protagonisti: la brava attrice Carla Peirolero, che alterna la lettura dei testi alle conversazioni con don Gallo, e i due musicisti Roberta Alloisio e Edmondo Romano che eseguono canti ispirati ai versi biblici. Dopo lo spettacolo, a tutti gli spettatori viene offerto del pane e del vino, come per rafforzare il carattere cerimoniale di questa affascinante rappresentazione.
Teatro Nuovo - Napoli, 23 novembre 2006