Kepler-452 si conferma come una delle giovani realtà creative più interessanti e originali della scena teatrale contemporanea italiana.
Straniante e ironico, potente e vero, profondo e disarmante: l’ultimo lavoro di Kepler-452 “F.Perdere le cose” ha la capacità di interrogarsi costantemente, indagando la realtà, senza avere l’ambizione di darsi tutte le risposte, ma piuttosto concentrandosi sul porsi le domande giuste con onestà e coerenza.
Con questa secondo lavoro, nato dalla collaborazione con ERT Fondazione, Kepler-452, collettivo teatrale bolognese nato nel 2015 dall’incontro tra Nicola Borghesi, Enrico Baraldi e Paola Aiello, si conferma come una delle giovani realtà creative più interessanti e originali della scena teatrale contemporanea italiana.
F. Perdere le cose è un’indagine che ruota intorno al concetto di perdita, alla sensazione di smarrimento che una perdita porta con sé: la perdita implica un’assenza, un vuoto a cui Kepler cerca con garbo e rispetto di dare forma e voce.
F. storia di un incontro, epilogo di una sconfitta
F. è una storia che nasce da un incontro avvenuto a Bologna, in un dormitorio per senzatetto con problemi sanitari, tra Nicola Borghesi, Enrico Baraldi, Paola Aiello e F., un immigrato nigeriano di 42 anni, nato a Warri, «magro, affascinante» vucumprà con venti fratelli e sorelle e innumerevoli nomi - perché nel villaggio da cui viene «ogni persona può dare un nome a te che sei nato lì»: F. è una presenza perturbante, ma fondamentale.
Alla domanda «E tu chi sei?» che Borghesi pone a quell’uomo confuso, F. risponde con un laconico e conciso «Io sono io».
La storia di F. è quella di un’emarginazione forzata, di una solitudine profonda e radicata: una vita la sua impregnata di dolore e dignità. F. è un’anomalia, un errore del sistema, un paradosso: ha perso il permesso di soggiorno e il passaporto, condizioni necessarie per avere la possibilità di trovare un lavoro e il diritto a un rinnovo di quello stesso permesso che gli garantirebbe l’accesso a un’occupazione. F. è di fatto un clandestino, un immigrato ed essendo sprovvisto di documenti non può salire sul palco - non potrebbe nemmeno trovarsi all’interno dei confini nazionali: a lui non è possibile stilare il certificato di agibilità, condizione necessaria per andare in scena.
F. Perdere le cose è l’epilogo di una sconfitta, la testimonianza di un tentativo fallito: infatti non si assisterà mai allo spettacolo che Aiello, Baraldi e Borghesi avrebbero voluto costruire insieme ad F.
La sfida di Kepler: indagare il quotidiano
La sfida che affronta magistralmente Kepler è portare in scena l’assenza, facendola diventare una presenza ingombrante nel suo essere assente, mancante: proprio perché F. non è da nessuna parte è ovunque.
Kepler prende una posizione precisa nei confronti della realtà, che interroga quotidianamente, nel tentativo di scardinarne i confini e di metterne in discussione le tacite convenzioni. Il collettivo bolognese esplora le molteplici declinazioni della contemporaneità, individua nella società e nella cronaca, nella vita quotidiana delle persone comuni il fulcro principale della propria indagine.
Lo spettacolo di fatto è un’indagine e una messa in scena della realtà, senza però cedere al realismo, ma demistificando continuamente forma e contenuto, rendendo sempre evidente la macchina teatrale e il suo operato. L’impianto drammaturgico e registico è originale, efficace, intelligente e funzionale.
In questa opera i confini dello spazio teatrale non sono più gli stessi, di fatto il confine tra palco e platea, tra scena e pubblico non è più così netto, ma si fa labile e sottile, a tratti invisibile e in questi frangenti si assiste a un incontro, unico e speciale, in cui, parafrasando Grotowski vengono attraversate le frontiere tra le persone. “Il teatro non è indispensabile. Serve ad attraversare le frontiere fra te e me” affermava il celebre regista polacco.
F. Perdere le cose è un’istantanea che fotografa una realtà poco patinata, cruda, vera e tragicamente comune, ma nella sua brutale verità di struggente poesia e forza.