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FERITO A MORTE

Ferito a  morte: la Napoli senza speranza di Raffaele La Capria

Ferito a  morte: la Napoli senza speranza di Raffaele La Capria

Ferito a morte: una magistrale interpretazione corale per il capolavoro di Raffaele La Capria, romanzo vincitore del premio Strega 1961. Corale nel vero senso della parola: in scena c'è un cast di 16 elementi, quasi una rarità nel teatro spesso al risparmio di oggi. Per supportare lo sforzo è servita una coproduzione del Teatro di Napoli con Fondazione Campania dei Festival, Emilia Romagna Teatro Fondazione e Teatro Stabile di Torino.

GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA


Il regista Roberto Andò e il drammaturgo Emanuele Trevi, amici personali di La Capria, sono riusciti a distillare in modo cristallino il respiro e la filosofia del romanzo, dopo una gestazione durata anni: lo scrittore, scomparso nel giugno 2022 alla soglia dei 100 anni, ha fatto in tempo a seguirne le fasi iniziali, anche se non ha potuto vederlo in scena.

L'universo onirico di Andò e Trevi

Andò e Trevi hanno creato un universo onirico, sospeso nel tempo e nel sogno, dove proprio il tempo è protagonista assoluto: una scelta registica ben precisa. Il romanzo infatti ha diverse chiavi di lettura. Protagonista potrebbe essere la borghesia napoletana sfaccendata, che vive nella sua bolla autoreferenziale dai tempi delle commedie fin de siècle, tanto da essere ormai diventata un'icona, protagonista di tante macchiette.


Oppure potrebbero essere i giovani benestanti in generale, allo stesso modo sfaccendati nella garanzia dell'accudimento da parte di famiglie e/o personale di servizio: versione partenopea dei vitelloni felliniani. Protagonista potrebbe essere Napoli stessa: città che t’addormenta o ti ferisce a morte, immersa nella grandiosa bellezza della sua storia e nella corruzione e superficialità di oggi.

Il tempo è protagonista assoluto

Massimo De Luca è il personaggio-protagonista in quanto presente in tutta la narrazione, dalla sua adolescenza alla sua maturità. L'impressione è però che qui Andò e Trevi abbiano deciso di eleggere proprio il tempo come protagonista assoluto. 


Soprattutto il tempo della giovinezza, che inesorabilmente si consuma e ci sfugge tra le dita, inafferrabile. Ma non solo. In questa messinscena il tempo diventa una dimensione piana, una terza dimensione insieme alla base e all'altezza di una fotografia. Come nei sogni, appunto.

Il passato, il presente e il futuro sono in scena nello stesso momento: come quando il Massimo De Luca giovane, ferito a un timpano facendo pesca subacquea, è vicino al Massimo De Luca con i capelli brizzolati, seduto sul suo letto nella casa romana. Passano gli anni, nelle oziose conversazioni estive in spiaggia o al circolo, e vengono snocciolati nei discorsi: il 1946, il 1947, il 1951. Poi però tutto deve ancora tutto succedere. 

Il pranzo domenicale metafora degli anni che passano

Emblematica la scena del pranzo domenicale al circolo. Più volte i numerosi commensali all'improvviso si alzano, mentre le luci si affievoliscono, prendono il loro piatto e le loro posate, e cambiano di posto ai tavoli mentre la luce si rialza: sono le domeniche, le settimane, i mesi, e gli anni che passano, sempre uguali. Anche il discorso non cambia: le frasi vengono riprese dal punto in cui erano state interrotte, benché siano trascorsi degli anni. Parole che non significano, discorsi fini a sé stessi, quasi che fossero frasi ridotte a puro suono: una trovata registica parimenti efficace ed angosciante.

All'improvviso flussi di coscienza di alcuni commensali interrompono il discorso generale. I monologhi pensati durano anche diversi minuti, mentre gli attori sullo sfondo continuano a mimare la conversazione, ma in realtà sono dei flash: quando il discorso soggettivo tra sé e sé finisce, gli altri discorsi ripartono esattamente da dove erano stati interrotti.


La cameriera Assuntina battibecca con il signorino Ninì per farsi restituire le mille lire che gli ha prestato; passano gli anni; vengono mostrati gli avvenimenti e le storie di quel periodo; poi all'improvviso la madre di Ninì sbotta: “Finitela! E' da stamattina che va avanti questa storia delle mille lire!”. Il tempo passa e contemporaneamente è immobile, appunto.

Le scene danno vita al dramma

La scenografia di Gianni Carluccio è multilivello e multispazio, con due diversi livelli di spazio all'aperto che si trasformano in locali chiusi con lo spostarsi orizzontale e verticale di pareti, ambienti, moduli. Bellissima la scena dei vitelloni sprofondati sulle sdraio, che si vedono solo - capovolti - nel soffitto a specchio. 


Onnipresente il rumore, il movimento e la suggestione del mare, che segna l'inizio e la fine di questo dramma. Tutti bravi gli attori, con una menzione speciale per il protagonista Andrea Renzi, l'incompiuto e disincantato Massimo adulto; Giovanni Ludeno, condannato in perpetuo al ruolo di figlio minore, del vorrei ma non posso; Paolo Cresta, che nel personaggio di Giacomo sembra ridare vita ad Ennio Flaiano anche nelle sembianze fisiche.
 

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Visto il 08-02-2023
al Ivo Chiesa di Genova (GE)