Antonio Rezza e il Fotofinish del Teatro. Fotofinish, ultimo spettacolo di Flavia Mastrella ed Antonio Rezza, ha un titolo bello, dinamico e soprattutto emblematico perché sembra spiegare il senso e la direzione di una dimensione teatrale di ricerca capace ancora di rinnovare i suoi mezzi e le sue forma, il suo linguaggio e la sua scrittura.
Il fotofinish è un fotogramma scattato per decodificare la velocità, è uno strumento automatico capace di vedere l’esatto ordine di arrivo di una gara. Rezza e Mastrella elaborano con questo spettacolo la loro idea di teatro, raccontando la storia di un individuo solitario che cerca compagnia nella moltiplicazione delle proprie identità che si sviluppano interagendo – modificando e modificandosi – con una scena caratterizzata da tendaggi, fessure, veli e macchine teatrali dal sapore mescolato di futurismo e surrealismo.
La scena è appunto una immagine, ma questa sembra sfuggire costantemente alla comprensione del pubblico ed al dominio del Rezza attore perché troppo veloce, follemente dinamica, sempre cangiante. Si tratta di una scena impossibile, fatta di ospedali rotondi e mobili e di grattacieli minuscoli perché contenenti solo un loculo, una scena che ruota su se stessa per divorarsi e vomitarsi all’infinito.
La scena è appunto un fotogramma troppo veloce, quasi invisibile all’occhio umano, il quale cerca di seguire la dinamica di un racconto che si costruisce dis-facendosi, che si trasforma in mille forme e che si nega ad una univocità semantica. Rezza prova a fotografarsi, ma la fotografia è sempre un’azione mancata, perché il fotogramma della sua identità è sempre di corsa, sempre altrove, sempre in metamorfosi.
Questa scena diventa comprensibile solo quando aggredisce la platea, quando usa la frusta contro se stessa per avvicinarsi al pubblico, che viene successivamente offeso, sbeffeggiato, provocato ed infine condannato a morte. Come il fotofinish racconta appunto un esito finale – un estremo spaziale contenuto in un estremo temporale – ed una situazione definitiva, un teatro che fa del fotofinish un’estetica scenica propone un palco in cui le corse, le trasformazioni, i movimenti sono tutti atti di guerra (scenica) che approdano alla morte di spettatori giustiziati e trasformati in cadaveri. Uno spettacolo di grande valore drammaturgico e di notevole consapevolezza teatrale, in cui il corpo stesso del teatro si dimostra capace di farsi arena di paura e rigenerazione, di violenza scenica e purezza drammaturgica e di rimandare infine la nostra immagine sfuggente ed impazzita, forse moribonda.