Prosa
FOTOFINISH

Fotofinish, un uomo che si fotografa per sentirsi meno solo

Fotofinish, un uomo che si fotografa per sentirsi meno solo

Già in limine, la messinscena di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, artisti di culto che vantano oramai un´attività teatrale quindicennale, si propone di essere un appuntamento inquietante e gravido d´aspettative ed infatti, sin dal nostro ingresso nel foyer del teatro, uno steward ci accoglie, ignaro pubblico, avvertendoci di stare in guardia, dacchè "non sapete" -ammonisce - "cosa vi attende". 

La sarabanda di "divertenti" e calibrati pugni allo stomaco, assestati dagli eclettici protagonisti sulla scena, diventa una sorta di grimaldello caustico e sferzante con cui l´esperimento drammaturgico tenta di tagliare e sfregiare sul viso la società moderna, umettata e fondata su diritti soltanto ottativi, offrendo un ritratto, politicamente scorretto, sconveniente ed irriverente dell´uomo contemporaneo e dell´ormai smarrita sua autonomia critica e civile . 

Così, se Antonio Rezza è un conversatore lepido, il mogul dell´intrattenimento, folletto geniale e cialtrone, nichilista e reazionario al tempo stesso, epigono futurista e precursore della più ardita e fibrillante patafisica dei nostri giorni, astrusa e bizzarra incarnazione di genio surrealista ed irrisolto, Flavia Mastrella è creatura amabile ed ingegnosa in grado di calare le manie funambolico- contorsionistiche di Rezza all´interno di suggestive e divertenti costruzioni ludico-visionarie. 

In una prospettiva audacemente esegetica, il testo può esser letto come il disperato tentativo di rappresentare la tragica fine del nostro tempo e del nostro spazio, a partire dalla mesta consapevolezza di una verificabile crisi esistenziale che, contaminando l´intero corpo sociale, ammorba e divora l´identità dell´individuo, la cui umanità è sempre più messa in discussione dall´impossibilità di condurre una vita sana e serena in un mondo in cui dominano gli antivalori dell´ingiustizia, della violenza edella sopraffazione. 

Il protagonista, nell´anfibola veste di attore e personaggio politico, si propone ora di costruire "ospedali ambulanti che si spostano direttamente nelle case dei malati", ora di progettare "minuscole torri Gemelle che mettano al sicuro l´unico impiegato da ogni attacco terroristico", fingendo, poi, di essere anche un provetto e sedicente primario in carriera o una sexy-suora sadomaso dal grande cappello: poco a poco il racconto impazzisce e, nel rutilante e convulsivo gioco della finzione, la malattia degenera nell´irrefrenabile voglia di relazionarsi agli altri, coinvolgendo il pubblico stesso. 

Sullo sfondo della schiodinata di lazzi, smorfie,giocolerie verbali e sberleffi irriverenti, intravediamo l´ombra scura e devastante della solitudine, una solitudine che non può essere fotografata, perché è l´assenza di chi non ti è vicino: "il cane ero io e non vi siete accorti che stavo così male". In più, è già l´ora di partire per la guerra ed in guerra non si risparmia nessuno, nemmeno lo spettatore che ti sta davanti, anch´ egli destinato a morire sul palcoscenico: perché "la merda finisce, mentre la cattiveria è infinita". 

Fotofinish, dunque, potrebbe esser definito come la storia di un uomo che si fotografa per sentirsi meno solo, un uomo che si immortala continuamente, fingendosi ora cliente ora fotografo esperto, ed impazzisce gradualmente di quella pazzia che, lungi dall´ottundere completamente i sensi del disgraziato, si rivela alla stregua di una diversa e più acuta capacità di sentire che, passando attraverso il ribaltamento parodico del senso e del logos, evoca l´immagine del malinconico fool di shakespeariana memoria, principe del non sense eppure cassandra di ogni dolore.. .poi, solo quando il nostro uomo avrà deciso di porre un cane a difesa della propria dimora, capirà di essere davvero solo e di essere lui stesso quel cane posto a tutela della proprietà, come a dire che il teatro è la sua claustrofobica mortifera dogville. 

Dal palco, Antonio Rezza guarda e distorce la nostra routine, fatta di lavori stressanti, mutui dissanguanti, tendenze autodistruttive, interminabili sedute di fitness mentale e fisico, fino a tracciare un´implacabile metafora dello straniamento dell´uomo di oggi; nell´arte di Rezza tutto è mimetico ed anti-mimetico al tempo stesso, così alla tensione comica o drammatica si accavalla una discutibile vena anarcoide che, scadendo troppo spesso in un atteggiamento di maniera ai limiti con il radical-chic, rischia di inficiare e compromettere la notevole cifra estetica dello spettacolo, in virtù di un tratto intellettualistico-velleitario che, attraverso il riconoscibile gesto del clown pestigrafo e millenarista, svilisce qualsiasi opportuna inclinazione critica nella guazza della retorica reazionaria di un vieto sentimento cinicamente apocalittico.

Visto il 05-06-2018