Un solo attore, tanti personaggi. Da tempo, Antonio Rezza ha abituato il pubblico a questa formula e in Fotofinish l’artista da prova non solo di eccelsa interpretazione dei ruoli, ma anche di doti atletiche. Gli assi portanti di questo spettacolo? Parola e movimento.
Le opere d’arte contemporanea di Mastrella ancora una volta giocano un ruolo fondamentale: non nascono con la funzione di scenografia ma sono realizzate per il piacere proprio dell’artista; vengono prestate al gioco dell’uomo vitruviano-Rezza, che le fa proprie, costruendoci sopra lo spettacolo. In un scenario dominato dal bianco, con qualche sprazzo di blu e rosso, un uomo decide di fotografare se stesso per sentirsi meno solo.
Inizia a fare comizi ad una folla inesistente che lo acclama, e lui, auto-proclamatosi politico, promette la costruzione di ospedali a forma di “sfera” che si spostano a casa dei malati. L’interprete-atleta percorre freneticamente la scena girando in tondo, corre su e giù, diventa un primario, un degente, una suora che sostituisce la medicina con la fede e, in seguito, un trittico di monache che gareggiano su una immaginaria pista da corsa, con un crocifisso in mano.
Ogni tanto, torna a fotografare se stesso ma, non è più solo: Armando (Novara), ottimo interprete e non spalla, divide la scena con l’artista. In uno scambio di effusioni i due si sdraiano sul pavimento e cominciano ad accarezzarsi e pronunciare parole affettuose, a spremere su se stessi dei pomodori per rendere più appetibile il corpo.
Nudo, ora con il sesso nascosto, ora ben visibile, una volta donna, una volta uomo, entrambi nello stesso corpo, arringa una folla entusiasta. Nel pieno del suo delirio il politicante attua la sua metamorfosi più cruda: diventa presidente di uno stato, parla all’Onu, scatena anche una guerra. Il pubblico diviene vittima: prelevato dalla propria poltrona e portato dietro una tenda, viene giustiziato a colpi di fucile. Trascinati sul palco e accatastati l’uno vicino all’altro i corpi danno origine ad un tappeto variopinto.
Con il fido Armando, scopre le gioie delle forme femminili, invita l’amico a toccare per capire, a scoprire un nuovo mondo. Grazie alla sua posizione politica, riesce a regalarsi una casa ambulante, come gli ospedali, e mette un cane da guardia a difesa della sua abitazione. Ma, il cane è lui, e capisce di essere solo, di aver parlato al nulla, ad una folla inesistente.
Delirio personale e interno, rialza il capo e con sguardo folle si tramuta nuovamente in politico e accusa la folla di non aver capito che nulla è mai esistito. Diceva Tibullo, poeta latino: «nei luoghi solitari sii una folla per te stesso». La solitudine è essenza dell’uomo. Ora amica, ora nemica è nostra compagna dal primo vagito all’ultimo istante di vita. È un’ombra che ci segue e che dobbiamo imparare a manovrare.