Per gli appassionati d'opera, ecco un bel regalo da parte del Teatro Comunale Pavarotti Freni di Modena: mette in scena prima di Natale Gianni Schicchi, l'unico lavoro comico di Puccini - d'una comicità, si badi, amara, pungente, sarcastica. Operazione tutta “in casa”, peraltro, puntando sui talenti del Corso di Alto Perfezionamento per cantanti lirici tenuto dal teatro stesso. Vale a dire su alcune voci di domani chiamate alla prova del nove. E Gianni Schicchi, con la sua folla di personaggi a far da contorno al protagonista, ben si presta allo scopo.
Una riduzione cameristica per Puccini
Per l'occasione si è adottata la versione per orchestra da camera che Ettore Panizza approntò non solo per Gianni Schicchi, ma per l'intero Trittico; adattamenti di notevole intelligenza musicale, che non fanno rimpiangere troppo le orchestrazioni originali. Fra l'altro, il direttore e compositore argentino d'origini italiane fu il primo, nel gennaio 1922, a portare la trilogia pucciniana sul palco della Scala.
Se poi l'operazione capita nelle mani d'un valido concertatore quale Luciano Acocella, il risultato finale è garantito: ritmo adeguato e buon dinamismo, giusta attenzione al gioco strumentale, colori vividi; ma, sopra tutto, tanta accesa teatralità. Compito facilitato, per di più, con scattante compattezza dall'Orchestra Filarmonica Italiana.
Voci in via d'affinamento
Voci giovani, dicevamo, ma già ben formate, con personalità complete, pronte a salire i gradini d'una (si auspica) promettente carriera. E' giusto il caso Tamon Inoue, uno Schicchi per nulla dilagante, mai triviale, mai sopra le righe. Cinico e beffardo il giusto, insomma. Il baritono giapponese vi apporta un canto solido e misurato, una recitazione accurata ed una dizione pressoché perfetta. Ed una voce di non ingente spessore, magari, ma dal bel timbro, che fluisce nitida e con nobile sicurezza.
Donatella De Luca è una Lauretta agile nel fluire musicale, delicata e fresca, affatto bamboleggiante: si merita così un applauso a scena aperta. Ovviamente, dopo un tenerissimo «O mio babbino caro». Apprezzabile pure Matteo Urbani, tenore di saldo carattere e di luminosa leggerezza, che padroneggia a dovere gli incomodi acuti del suo Rinuccio.
Una messinscena già vista, sempre valida
La folla dei parenti vede Kyung Ho Cheong ed Erica Cortese tenere banco come pittoreschi commedianti dalla perfida bassezza: rispettivamente un Simone imbambolato e gretto, e un'acida, urticante Zita. Nel buon lavoro di squadra intervengono poi il Gherardo di Joaquim Cangemi, la Nella di Sara Minieri. il Betto di Yixuan Li, il Marco di Tianyi Lin. Infine Luigi Romano (Maestro Spinelloccio e Guccio tintore), Marcandrea Mingioni (Notaio), Aldo Sartori (Pinellino calzolaio).
Lo spettacolo impostato da Stefano Monti riprende di peso un precedente allestimento modenese del 2017, che pure allora vedeva sotto la sua guida altri allievi dei corsi di perfezionamento modenesi, tenuti al tempo anche da Mirella Freni. Dunque ritroviamo il palcoscenico sbiego e periclitante, e l'atmosfera inquietante disegnata da Rinaldo Rinaldi. La regia resta all'incirca la stessa: semplice e lineare, molto accorta, molto dinamica, molto attenta ai dettagli. Una regia fluida e senza inutili ghiribizzi.
Per inciso, la ripresa video dello spettacolo è stata curata dagli allievi del Corso di Comunicazione in Video, organizzato per il quarto anno consecutivo dal teatro modenese.