A due anni di distanza dall’apprezzato Julius Caesar di Giorgio Battistelli il Teatro dell’Opera di Roma mette in scena il Giulio Cesare in Egitto, capolavoro di Georg Friederich Handel trionfalmente accolto dal pubblico romano.
Si tratta di una coproduzione tra la Fondazione capitolina e il Theatre des Champs-Elysées di Parigi, l’Opéra National de Montpellier e l’Opera di Lipsia con la regia di Damiano Michieletto e con lo specialista del repertorio barocco Rinaldo Alessandrini sul podio dell’Orchestra di casa.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Dalla rabbia al trionfo
La lettura di Michieletto è rigorosa ed essenziale, alla musica il compito di raccontare la vicenda per mezzo delle numerose arie con il loro carattere ora patetico, ora di rabbia, di furia, di dramma, di trionfo. Scena nuda e abiti moderni, le tre parche che, eteree e danzanti, tessono i fili rossi del destino che avvolgono il protagonista portando i simboli della bilancia e della clessidra.
Numerose trovate narrative, citazioni pittoriche e cinematografiche evocano memorie e sensazioni, l’esplosione di stelle filanti, la caduta dall’alto delle ceneri di Pompeo, la rapidissima e violenta colata di sangue che attraversa il proscenio.
Non manca, a contrasto del trionfo finale, la fosca previsione del destino di Cesare, con i congiurati in abiti antichi, che si avventano con i loro pugnali sul diaframma di cellophane che poi sarà utilizzato da Sesto per soffocare Tolomeo e compiere l’agognata vendetta.
Questo genere di opere nel Settecento era sempre caratterizzato dal protagonismo dei cantanti e su di esso erano costruite, le arie prevedevano il “da capo” proprio per permettere ai cantanti l’esibizione di abbellimenti ed acrobazie molto attesi dal pubblico.
Nell’organico era prevista una fluidità di genere con la competizione tra i castrati, che sommavano la tessitura femminile alla potenza ed all’estensione del fisico maschile, con i virtuosismi delle primedonne che costituiva un ulteriore motivo di interesse. I ruoli maschili previsti per soprano o contralto erano ricoperti anche da cantanti donne en travesti o da controtenori.
Tre controtenori protagonisti
Nella odierna messa in scena proprio tre controtenori hanno impersonato i protagonisti: Raffaele Pe, nel ruolo di Cesare, vola al registro acuto con sorprendente naturalezza senza esibizionismi superflui, Remy Brès-Feuillet nella recita del 17 ottobre è un ambiguo quanto crudele Tolomeo, mentre Sesto è efficacemente reso dal giovane Aryeh Nussbaum Cohen, che interpreta magistralmente l’evoluzione da giovinetto indifeso a maturo vendicatore del padre.
Altro controtenore nel ruolo minore di Nireno è Angelo Giordano, anche lui efficacissimo a far apparire come facile e naturale una espressione che richiede tecnica ed applicazione. Completano il cast maschile il basso Rocco Cavalluzzi nel ruolo di Achilla e Patrizio La Placa nel ruolo di Curio entrambi efficaci e misurati.
Sara Mingardo, dolente e tragica Cornelia, si è confermata come una delle maggiori interpreti di questo repertorio, memorabili i duetti con il figlio Sesto.
La giovane Mary Bevan è una Cleopatra seducente nella recitazione ed efficace nel canto, nell’aria “Piangerò la sorte mia” suscita applausi entusiastici.
L’orchestra del Teatro dell’Opera non frequenta abitualmente il repertorio barocco, ma nelle mani dell’esperto Rinaldo Alessandrini ha sfoggiato tutta la sua professionalità calibrando suoni e ritmi sulle esigenze della compagnia di canto. Grande prova delle prime parti soliste.
Le scene essenziali, ma drammaturgicamente efficaci, sono di Paolo Fantin con il decisivo contributo delle luci di Alessandro Carletti, i costumi sono opera di Agostino Cavalca, i misurati movimenti coreografici sono di Thomas Wilhelm.
Quasi tre ore volate, nessuna defezione nel pubblico, un trionfo.