Licia Lanera si confronta per la prima volta con un classico della letteratura, Il Gabbiano, di Anton Čechov, secondo tassello della trilogia Guarda come nevica. Attraverso questo testo, nella doppia veste di regista e attrice (nel ruolo di Irina) compie una riflessione su di sé, come donna e artista.
La sua interpretazione della diva che si illude di non cedere all’inutile, ma inesorabile, trascorrere del tempo risulta imperturbabile al punto di scuotere il pubblico rispetto al tradizionale senso di immobilità che caratterizza, generalmente, i personaggi di Čechov.
Intorno a lei, una nutrita schiera di attori, che si presentano al pubblico a sipario chiuso per avvertirlo di una temporanea sostituzione: Giandomenico Cupaiolo, infatti, interpreta il ruolo di Trigorin con il copione in mano per tutta la recita. E, forse, proprio questa situazione inaspettata rende la costruzione del personaggio molto aderente alla proverbiale indolenza di Trigorin.
Il tormento interiore di Kostja
Elemento caratterizzante della visione registica di Licia Lanera è l’inquietudine esistenziale, tipicamente giovanile, che affligge Kostja, schiacciato dall’ingombrante ombra di una madre come Irina, anaffettiva e spilorcia. L’apertura mentale di Jozef Gjura nell’affrontare questo ruolo – oltre a una pungente riflessione sul teatro, affidata da Čechov al suo personaggio – gioca a suo favore, anche quando il giovane attore sembra voler accostarsi con evidente disinvoltura a un carattere che propriamente disinvolto non è.
La stesso aspetto risulta altrettanto evidente quando Evgènij Sergèevič, medico della zona, espone la sua filosofia di vita, spensierata e libertina, che si contrappone all’immobilismo nel quale restano imprigionati tutti i personaggi. Contrasto reso ancora più efficace dall’attore Fabio Mascagni, che accenna ripetutamente alla canzone Odio l’estate, di Bruno Martino.
Una torrida e lenta nevicata
In questa campagna apparentemente idilliaca, dove tutti i personaggi vivono come reclusi, due sono gli elementi che rompono l’immobilismo di corpi e situazioni: una nevicata lenta e inesorabile, che contrasta la torrida calura estiva, impossessandosi del palcoscenico; e l’interpretazione di Caterina Filograno, la quale rende assolutamente giustizia al simbolismo della libertà del gabbiano, tragicamente attirato dall’ambiente lacustre.
Un ulteriore elemento interessante è il cambio di scena tra un atto e l’altro; all’apertura del sipario, l’atmosfera noiosa e grigia è rappresentata da un semplice fondale a tema lacustre che, nel secondo atto, si ripiega su se stesso, portando l’attenzione del pubblico su alcuni microfoni ad asta presenti sulla scena.
Quasi a dire che la neve gela le speranze dei protagonisti e il microfono amplifica il senso di vuoto di esistenze destinate al fallimento.