Non capita spesso di assistere (teatralmente parlando) a un conclave che annuncia la fumata bianca sulle note di un inatteso medley strumentale tra Dancing Queen e Fernando, degli ABBA: questo è uno dei momenti più emozionanti della pièce I due Papi, di Anthony McCarten (2017), successivamente trasformata in un film per Netflix – con l’empatica interpretazione di due grandi attori quali Anthony Hopkins e Jonathan Pryce – che ha ottenuto candidature agli Oscar e ai Golden Globe come migliore sceneggiatura non originale.
Il testo ipotizza un incontro/scontro, inedito e spiazzante, tra Benedetto XVI e l’allora cardinale Jorge Bergoglio, nel periodo in cui Joseph Ratzinger stava maturando la sorprendente decisione di rinunciare alla carica di Vescovo di Roma, con l’intenzione di indicare proprio il più “ecumenico” Bergoglio come suo successore, con il nome di Francesco.
Vite parallele unite dal destino
La versione italiana, diretta da Giancarlo Nicoletti, si sofferma sulle “vite parallele” di due uomini straordinari, che finiscono per condividere lo stesso destino. Le loro posizioni sulle urgenti questioni etiche e morali che affliggono la Chiesa del XXI secolo – dall’uso dei contraccettivi al drastico calo delle nascite, dal celibato dei preti al rapporto tra fede e omosessualità, fino a non troppo velati riferimenti agli scandali della Banca Vaticana e degli abusi sessuali di sacerdoti a danni di minori – sono (e rimangono) spesso divergenti: ma la diffidenza iniziale evolve in una profonda e fraterna amicizia, che durante i saluti finali riduce le distanze tra i due protagonisti (Giorgio Colangeli e Mariano Rigillo) a un amichevole scambio di bandiere nazionali, quasi come se il terreno di scontro fosse una finale calcistica tra Italia e Argentina.
La dimensione umana del potere
Giorgio Colangeli è un Papa Ratzinger che suona Mozart ed è appassionato delle vicende televisive del Commissario Rex; consapevole di un necessario rinnovamento nella Chiesa (che sembra avere grosse difficoltà a comunicare con le giovani generazioni), non si sente adeguato a portare a termine il suo compito di pastore universale e questo lo rende più umano e rende toccante e schietto il confronto con Anna Teresa Rossini, nei panni della suora cui Benedetto XVI confida per prima le sue future intenzioni.
Mariano Rigillo è un cardinale Bergoglio animato da una concreta semplicità d’animo e con una personalità più espansiva che, tuttavia, non si riconosce più nella struttura-Chiesa del nuovo Millennio; nella convinzione di poter rinunciare al magistero cardinalizio, ripercorre insieme a una giovane e ispirata religiosa (l’attrice venezuelana Ira Fronten), i momenti felici (e quelli più burrascosi) della sua vita sacerdotale.
La regia di Giancarlo Nicoletti è montata “a quadri”, una scelta che rende lo spettacolo meno scorrevole, ma comunque coinvolgente (e non importa se, nella realtà e in quella specifica circostanza, l'incontro tra Ratzinger e Bergoglio sia avvenuto oppure no); il merito è anche delle scene di Alessandro Chiti, che in un gioco di pannelli scorrevoli, riproducono sul palcoscenico i giardini di Castelgandolfo, il balcone con vista su piazza San Pietro e perfino la gaudiosa luminosità della Cappella Sistina.
Tuttavia, l’utilizzo di una proiezione per creare un “effetto folla” che accompagnasse l’annuncio dei nuovi pontefici (a inizio e fine spettacolo) sarebbe stato ancora più apprezzato.