Una immensa tela bianca sullo sfondo, attraversata da un taglio nero come in un quadro di Lucio Fontana. Così si apre e si chiude I lombardi alla prima crociata, opera che ha inaugurato il Festival Verdi 2023, il primo sotto la nuova dirigenza artistica di Alessio Vlad.
E che segna il ritorno al Regio di Parma del grande Pier Luigi Pizzi, un esempio invidiabile di lucida longevità. Il quale tiene fede al castigato pannello cromatico prediletto, fatto di contrasti bianco/nero, qui con qualche pennellata improvvisa di viola, blu, giallo nelle scene esotiche.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
E rinuncia stavolta alle scenografie materiche, sostituite da essenziali video proiezioni: ecco dunque sfilare l'atrio di Sant'Ambrogio, il palagio di Arvino, la cupa caverna dell'eremita, l'harem di Acciano, la valle di Giosafat e via di questo passo, in pieno descrittivismo di stampo ottocentesco.
Un incedere tipicamente “pizziano”
Son tutte immagini adeguatamente evocative, e molto raffinate; ma nel contempo, anche un po' algide e distaccate. Pure la definizione dei costumi - Giselda sempre avvolta di bianco – rientra nelle scelte di sobria eleganza tipiche del maestro milanese. Quanto alla regia in sé, cerca di conferire un senso unitario alla 'tela' frammentaria e discontinua che il Solera ha faticosamente cucito per Verdi, traendone la trama dall'omonimo, farraginoso poema di Tommaso Grossi. Un tempo popolare, oggi noto solo al 0,00001 % degli italiani.
Cioè quelli che amano il teatro di Verdi, senza sminuire quello giovanile che comprende appunto I lombardi. Diremmo che in questo Pizzi riesca nell'ardua impresa, tenendo ben fermo il timone e seguendo un filo narrativo che pone in primo piano le singole emozioni, culminando nella presa di coscienza di Giselda, allorché inutilmente ammonisce i brutali conterranei che «Giusta causa non è d'Iddio, la terra spargere di sangue umano».
Una direzione di gran classe
Tale buona visione d'insieme trova sponda ideale nella raffinata concertazione di Francesco Lanzillotta, il quale dirige stando seduto non essendo ancora rimessosi dall'incidente in moto di metà agosto. Peccato non possa così salire sul proscenio, alla fine, per ricevere i meritatissimi applausi. Non solo sa essere preciso, sicuro, pienamente consapevole dello spartito che tiene davanti sé, tenendo unire le tessere di un mosaico frammentario.
Ma sa anche essere duttile e finemente lirico, limando certe irruenti frenesie verdiane alla ricerca di un maggior equilibrio generale, e legando meglio possibile con un sottile filo logico i tratti di una partitura discontinua e anfrattuosa. Ottiene fra l'altro una prova di gran classe da parte della Filarmonica Toscanini (la banda in palcoscenico è quella dell'Orchestra giovanile della Via Emilia) la quale gli permette di ottenere levigatezza di suoni e di profondere colori a piene mani.
Che comprendono il celebre assolo di violino che la regia di Pizzi fa eseguire alla brava Mihaela Costea presentandocela sul palco. Così come pone a vista l'arpa suonata da Elena Meozzi in «Componi, o cara vergine...Oh! di sembianze eteree».
Pagano, un ruolo perfetto per Michele Pertusi
Ci pare siano passati vent'anni da quando Michele Pertusi debuttò – e proprio qui a Parma – il profilo di Pagano, che da allora è una colonna del suo repertorio. Ancor oggi riesce ad avvincerci per l'intatta energia, per il canto tornito, fluido, elegante; e per il timbro ammaliante, e la consapevole attinenza stilistica. E trova Luca Dall'Amico a fargli da vigorosa sponda quale Pirro. Seconda per importanza, la figura di Giselda trova in Lidia Fridman un interprete con luci ed ombre.
Mostra indubbiamente molto carattere, e dona una presenza scenica ammaliante. Sembra però che – al di là di una base tecnica sicurissima e d'una vocalità lucente, svettante nel registro centrale così come in quello acuto, anzi talora acutissimo – difetti di abbandono, di souplesse; e non padroneggi ancora bene dizione e articolazione della nostra lingua. Minando così un po' alla base il suo personaggio.
Un cast costruito con cura sapiente
Supera bene gli scogli della spigolosa parte di Arvino il bravo Antonio Corianò; da parte sua, William Corrò è un valido Acciano. Pienezza di voce – bella, morbida, luminosa - e sano belcantismo troviamo nell'Oronte di Antonio Poli, con pertinenti variazioni nella cabaletta della languida “La mia letizia infondere”.
Nelle parti di contorno, troviamo l'ottima Viclinda di Giulia Mazzola, il saldo Priore di Zizhao Chen, la Sofia di Galina Ovchinnikova. Il Coro del Regio – impeccabile in «O Signore, dal tetto natio» - sta nelle mani di Martino Faggiani. Le luci le cura Massimo Gasparon; le coreografie dell'harem sono di Marco Berriel.