I Masnadieri di Giuseppe Verdi, opera poco rappresentata ma che segna nella produzione verdiana una svolta importante, in quanto chiude il periodo giovanile aprendo nuove prospettive, è un titolo che merita di essere apprezzato nell’ambito di un festival verdiano. A distanza di tre anni, I Masnadieri vengono dunque riproposti al Teatro Verdi di Busseto nell’allestimento creato da Leo Muscato per il Teatro Regio di Parma con scene di Federica Parolini e costumi di Silvia Aymonino.
Questa produzione mantiene inalterata la sua efficacia, per nulla condizionata dalle dimensioni estremamente ridotte del palcoscenico bussetano. Tutto continua a funzionare nella sequenza ravvicinata dei quadri, nell’animarsi improvviso delle scene di massa, alternate o coesistenti, con le figure isolate dei protagonisti. Un perfetto gioco di luci (light design di Alessandro Verazzi) tra primi piani e sfondo sottolinea effetti in sintonia con le situazioni drammatiche che spesso suscitano orrore in quest’opera dalla “tinta” decisamente scura: incubi, sepolti vivi, cimiteri, incendi, sangue. Lo spazio scenico è delimitato lateralmente da quinte fisse sulle quali proiezioni luminose determinano le diverse ambientazioni delle scene passando dal blu delle tappezzerie damascate del castello al verde allusivo della foresta con alberi stilizzati. Un tavolato sconnesso che si prolunga anche oltre il perimetro del palcoscenico rimane fisso per tutta la durata dello spettacolo a significare la fine e la decadenza di un mondo in disfacimento. Pochi elementi bastano a creare l’atmosfera i conflitti tra i personaggi: una tenda che nasconde la taverna dei Masnadieri separati da Carlo in primo piano, quattro servitori in livrea rossa con doppieri per il castello, croci e fumo per la scena del cimitero. Si apprezza la gestualità essenziale sia in certe scene corali (come nel giuramento del terzo atto, quando i Masnadieri si tagliano i polsi per sancire col sangue la comune volontà di vendetta), che nei ritratti dei protagonisti, in particolare nel personaggio malvagio di Francesco, quasi un Riccardo III shakespeariano claudicante dal ghigno beffardo. D’altra parte i Masnadieri seguono Macbeth e le due opere sono accomunate da personaggi tragici destinati alla catastrofe finale, che si tratti del malvagio (Francesco) o dell’eroe in conflitto con se stesso (Carlo) o del padre (Massimiliano) che deve espiare una colpa originaria nei confronti del figlio.
Personaggi inchiodati al loro destino, caratterizzati da una tinta scura anche nella vocalità. Di un cast decisamente giovane abbiamo apprezzato la maturità interpretativa, non solo vocale ma anche attoriale (grazie al grande lavoro fatto dal regista Leo Muscato) e il colore di voce pertinente all’opera. Protagonista, anche per considerevoli doti sceniche e interpretative, il Francesco di Leon Kim, apprezzabile anche per la dizione. Giovanni Maria Palmia risolve il personaggio di Carlo soprattutto sul versante lirico. George Andgulazde interpreta con giusta gravitas Massimiliano, accentuando il carattere patetico del padre. Ai personaggi maschili si contrappone l’unica voce femminile ispirata al belcanto, Amalia, interpretata da Marta Torbidoni, che ha convinto per la limpida voce sopranile dal solido registro acuto. Completano adeguatamente il cast Manuel Rodriguez Remiro (Arminio), Jangmin Kong (Rolla) e Pietro Toscano (Moser il pastore). Tra i personaggi negativi c'è il coro dei Masnadieri giovani ribelli alla società, sempre in rivolta in ogni momento storico, sempre attuali dall’Ottocento a oggi, come rivela il cambiamento dei costumi indossati nel corso dell’opera: da studenti e borghesi in cilindro all’inizio a operai, disertori, banditi, guerriglieri, sempre più violenti e disperati. La regia sottolinea l’aspetto libertario di questi Masnadieri, accentuato dalla presenza di due figure femminili loro sottomesse; si nega così, e ci sembra una giusta intuizione, un’interpretazione epica che attribuisce al coro un messaggio pre-risorgimentale. In questa occasione il Coro del Teatro Regio di Parma, oltre alla consueta precisione vocale, si è distinto per versatilità scenica.
La direzione di Simon Krečič, che crea una giusta atmosfera nel preludio con il cantabile del violoncello che dialoga con l’orchestra, offre un buon accompagnamento alle voci soliste, ma risulta, forse penalizzata dalle dimensioni ridotte del teatro, troppo enfatica nelle pagine corali.
Un pubblico internazionale composto per buona parte da tedeschi ha tributato sentiti e calorosi applausi a tutti gli interpreti.