Lirica
I PURITANI

La nuova edizione de “I puritani” di Bellini apre il Modena Belcanto Festival

I puritani
I puritani © Rolando Paolo Guerzoni

Quattro importanti realtà cittadine – il Teatro Comunale, la Fondazione di Modena, il Conservatorio Vecchi Tonelli ed il Comune - scendono in campo per dar vita alla prima edizione del Modena Belcanto Festival, rassegna che tra maggio e primi di luglio offre più di trenta eventi connessi non solo al belcanto, ma anche alla musica d'ogni genere; e che trova un primo punto focale in una riedizione de I puritani, estrema opera di Bellini e apoteosi appunto della vocalità belcantistica, verso il crepuscolo di questo genere. 

Un titolo invero poco presente nei cartelloni lirici a dispetto della intrinseca bellezza, per la difficoltà di reperire interpreti adatti. O meglio dire, voci tenorili in grado di sostenere un ruolo – quello di Arturo – ideato dal Catanese per la stratosferica vocalità di Giambattista Rubini, primo suo interprete in quel di Parigi.

Un'opera simbolo del repertorio belcantistico

Rubini, in realtà, poteva contare su un'estensione agli acuti di per sé già eccezionale; ma dove non arrivava con la voce piena e naturale passava al falsetto, come altri suoi contemporanei colleghi. Un artificio di cui s'è persa traccia da tempo immemore, e comunque non più consono al moderno gusto; motivi per cui è giocoforza dover abbassare qui, limare o tagliare là, per adattare la parte a quelle voci – non molte, in realtà- pronte oggi ad accettare la sfida. 

Una sfida raccolta e vinta in queste due recite modenesi dal tenore Rüzil Ğatin mettendo in campo una voce limpida, radiosa e ben timbrata, dalla dizione irreprensibile e dallo squillo facile e generoso - veramente bello e lucente il suo do diesis in «A te, o cara». Spiace solo che un inopportuno, leggero vibrato vada a sminuire un risultato altrimenti ancor più positivo.

Un ruolo sopranile di estatica bellezza

La dolce e trepidante Elvira la troviamo affidata a Ruth Iniesta. Il personaggio lo conosce bene, avendolo affrontato a Trieste e Palermo: il timbro è seducente, la voce risuona densa e corposa nei bassi quanto nel registro centrale, e non perde punti in quello acuto, là dove i suoni brillano per limpidezza e sericità. Forse il ruolo in sé si pone un po' al di sopra delle sue reali possibilità, eppure il soprano spagnolo non si perde davanti alle tante difficoltà belcantistiche, risolte con discreta nonchalance. 


Luca Tittoto delinea un Lord Giorgio nobile nel carattere, musicalissimo nell'elegante linea vocale. Da parte sua, Alessandro Luongo consegna un solido e virile Riccardo. Si son ben meritati il bis di «Suoni la tromba», concesso dopo qualche esitazione del podio. Nelle parti minori, troviamo la brava Nozomi Kato (Enrichetta), e le buone voci di Andrea Pellegrini (Gualtiero) e Matteo Macchioni (Bruno).

Una direzione assai poco belliniana

La Filarmonica del Teatro Comunale di Modena non è compagine di primo rango – ha solo due anni di vita – ma a penalizzarla qui è la presenza sul podio di Alessandro D'Agostini, che imposta una concertazione dalla scansione ritmica rigida, spesso tenuta a passo di carica garibaldina, spesso strabordante nelle sonorità. 

Concertazione invero sconcertante, per la quale l'espansiva cantabilità belliniana, le sfumature dinamiche, la varietà di colori, i flessuosi rubati, le sottolineature timbriche restano oggetti misteriosi. Il Coro Lirico di Modena non fa faville: mancando di compattezza e calore, assolve il suo ruolo appena sopra la sufficienza.

Uno spettacolo plumbeo, senza poesia

La messa in scena ripropone in toto una coproduzione Modena/Piacenza/Reggio di qualche anno fa. Regia e costumi sono dunque di Francesco Esposito, che nel suo compito segue fedelmente i dettati librettistici senza stravolgere nulla, concependo però uno spettacolo plumbeo e statico - coro quasi sempre immobile- oltre che imbevuto di luoghi comuni, come il vièto incrociar di spade; e pieno di controscene che nulla aggiungono, quando non sono anzi d'impaccio come il girar a vuoto delle ingombranti dame d'Elvira. In compenso, appaiono consoni ed eleganti i suoi costumi d'epoca. 

La scabra scenografia di Rinaldo Rinaldi e Maria Grazia Cervetti erige una sorta d'opprimente anfiteatro dal quale escono pannelli mobili messi a variare lo spazio scenico, e sopra il quale spesso il coro incombe minaccioso; spazio tutto sconquassato nell'atto conclusivo, si suppone a causa delle lotte civili. Molto efficaci comunque le luci di Andrea Ricci.
 

Visto il 12-05-2024