Prima nuova produzione aperta al pubblico dopo la pandemia, il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini è tornato al Teatro Alla Scala in un nuovo allestimento con la regia di Leo Muscato e sul podio il Maestro Riccardo Chailly, destinato a sostituire quello firmato da Jean Pierre Ponnelle presente sul palcoscenico milanese dal 1969.
In verità ci fu nel 1999 un Barbiere firmato da Alfredo Arias, ma si trattò di uno spettacolo talmente poco convincente che venne immediatamente archiviato e lo spettacolo di Ponnelle tornò a farla da padrone.
Un gioco metateatrale che funziona alla perfezione
Questa nuova produzione reinventa in maniera divertente ed efficace la vicenda, ambientandola in un teatro di inizio’900, ottimanete ricreato dalla scenografa Federica Parolini e dai costumi di Silvia Aymonino, in cui l’impresario Bartolo vuole sedurre Rosina, la prima ballerina, corteggiata anche dal direttore d’orchestra (il Conte), che si avvale della collaborazione del tecnico di palcoscenico Figaro.
Tutto si dipana in maniera estremamente lineare, con grande coerenza, senza alcuna forzatura e senza la spasmodica ricerca della gag per far ridere a tutti i costi. Anzi, se il Rossini di Ponnelle era uno squisito congegno di meccanica teatrale, qui si cerca una maggiore naturalezza nel delineare i personaggi e nella costruzione dei rapporti interprersonali.
E l’idea si rivela vincente, nonostante non manchino momenti particolarmente gustosi, tra cui la lezione di canto del secondo atto, costruita su un continuo saliscendi di sipari, oppure le sequenze che vedono in scena il corpo di ballo, tutto maschile e rigorosamente in tutù, che ricorda il Ballet du Trockadero e che nella scena del temporale ottiene il suo successo personale (merita la citazione la coreografa Nicole Kehrberger).
Concertazione raffinata e un grande cast
Vero demiurgo di questo Barbiere è però il Maestro Riccardo Chailly autore di una concertazione raffinatissima ed attenta alle dinamiche che, pur non rinunciando alla leggerezza rossiniana compie un sapiente lavoro di scavo a livello dei personaggi, conferendo loro spessore e tridimensionalità e liberandoli dal loro ruolo di caratteri, alla ricerca di una maggiore verità.
I recitativi sono più colloquiali, si percepiscono maggiore naturalezza e spontaneità nei rapporti tra i protagonisti ed all’allegria si mescolano malinconia e riflessione. Se tutto ciò funziona alla perfezione il merito va condiviso con un cast assolutamente ideale.
Mattia Olivieri è Figaro di riferimento. Voce timbratissima, disinvoltura nelle agilità, interpretazione spigliata e grande comunicativa fanno di lui il motore della vicenda e l’interprete ideale di questo ruolo. Straordinario anche Marco Filippo Romano, un Bartolo mai caricaturale, dalla voce ben proiettata ed eccellente nel sillabato. Antonino Siragusa è un Conte dal timbro squillante, impeccabile nelle agilità che esce a testa alta dall’impervio rondò finale “Cessa di più resistere”.
Nonostante qualche passaggio non perfettamente a fuoco Svetlina Stoyanova è una Rosina credibile, dal timbro morbido e suadente. Ottimo l’imponente Don Basilio di Nicola Ulivieri ed efficaci anche le prove di Lavinia Bini (Berta) e Costantino Finucci (Fiolello e Un Ufficiale).
Successo incondizionato da parte del pubblico che riempiva il Teatro Alla Scala per la prima recita, dopo oltre un anno e mezzo, con capienza al 100%.