Le pelli caprine dei Satiri romani, le ghirlande floreali dei Sileni danzanti che precedevano le grandiose azzuffate dei gladiatori nelle Arene, la Commedia dell'Arte e la parade da fiera del '500, i Giullari ed in una certa misura i Menestrelli delle corti rinascimentali: la storia dei clown è una lunga e fortunata sintesi di valori e contraddizioni dagli infiniti passaggi di trasformazioni personali, familiari e di genere; ed il modo in cui si presenta David Larible, veronese di origini francesi, fa ricordare forse una delle figura più importanti della storia del clown moderno, quel Paul che nella storica formazione dei Fratellini era il personaggio più innovativo e dirompente, inserendosi fra il clown bianco ed il Toni, e lavorando praticamente senza maschera.
Larible non è soltanto un attore, ma regista di se stesso ed autore, calca le piste da sette generazioni come trapezista, pattinatore, giocoliere, ballerino, acrobata a cavallo ed altro, finché ha scelto la sua specializzazione di clown ottenendo successi continui, fino al Clown d'oro del Festival di Montecarlo, l'Oscar dei circensi, e le richieste pregiate di Woody Allen e Jerry Lewis.
Tutto questo lo si fa, nel suo mestiere, soltanto quando si va oltre il mestiere, se ci si diverte, se si è capaci ogni sera di morire con quello spettacolo, e di rinascere il giorno dopo, spesso per reinventarlo, perché una delle doti più elevate di Larible è quella dell'interazione con il pubblico: per ottenere il massimo effetto possibile, bisogna calarsi nella realtà circostante, percorrere la sala con sguardo veloce, “sentire” il pubblico che si ha ogni volta di fronte e rispondere alle sue esigenze per scegliere fra le possibili strade da percorrere. In questo, lo show da il meglio di sé, e dopo un avvio concettuale in cui esprime il mondo onirico e sognatore dal quale necessariamente deve fuoriuscire il Clown, dopo la trasformazione da uomo delle pulizie che osserva con rispetto e circospezione ma soprattutto con la consueta irriverenza Gensi, il clown bianco, il simbolo dell'autorità del successo raggiunto, mette tutto a soqquadro, taglia la scena, e lo spazio di un intero palcoscenico diventa perfino troppo piccolo per due protagonisti, perché uno di loro sta per impadronirsi di tutto.
Ed è una conquista che avviene con trovate che proprio per il loro apparire semplici, come un getto d'acqua dalla bocca oppure una palla che non c'è da tirare lontano e riprendere, ebbene danno l'esatta dimensione del lavoro, della genialità e della sapienza antica che contengono, perché come per tutte le Arti, la differenza fra la bravura e la genialità sta soprattutto nel saperle far arrivare al pubblico, e nel farle apparire semplici, laddove invece sottendono una padronanza assoluta della tecnica.
E così, man mano che procede questa conquista dello spazio intorno, ed il pubblico viene chiamato a partecipare, prima un bambino, poi un altro, poi una coppia, poi 5-6 persone alla volta, fino a sketch più complessi dove la scelta istintiva e studiata di chi chiamare con sé conta ancora di più, l'intero pubblico diventa parte integrante di questa concezione globale, come corde di uno strumento nuovo appositamente inventato per l'occasione.
Quando decide poi di avviarsi verso la conclusione dello spettacolo, Larible torna a narrare col suo silenzioso movimento, sempre perfettamente comprensibile, di un posto dove forse i sogni svaniscono per tornare ad occuparsi del proprio quotidiano, ma stavolta il sogno si realizza, e l'energia accumulata viene reinserita in un finale in cui può esplodere l'artista, insieme col suo lieto fine.
Viene da pensare, per contrasto, alle icone più classiche del pensiero sui clown, quelle del dopo, lontano dalle piste circensi e senza più maschera, quelle stesse che anche l'appassionato Picasso dipingeva come malinconiche in quanto solitarie, senza il loro pubblico. Come quando si chiude una scatola di giochi.
Piace pensare che ci sia ancora una sensazione come questa, sia per la sua parte esaltante che per quella nostalgica. Forse una sintesi non rende giustizia alle due componenti: e se la seconda non la conosciamo, e lasciamo che appartenga più all'immaginario, la prima, quella cui si assiste dalla platea, trova sempre il suo principale punto di riferimento, tanto semplice quanto ineccepibile, nella risata di un bambino.