Peter Stein porta in scena Il compleanno, testo giovanile firmato da Harold Pinter, in una rappresentazione suddivisa in due atti ma rispettosa della versione originale proposta nella traduzione di Alessandra Serra, che del drammaturgo inglese ha curato l’edizione critica di tutto il teatro.
Sono sei i personaggi diretti dal regista tedesco, con l’assistenza di Carlo Bellamio, a dibattersi con elettricità crescente sul palcoscenico, secondo i dettami di Pinter: Maddalena Crippa, moglie di Stein, interpreta Meg Bowles; Petey Bowles, il marito, è impersonato da Fernando Maraghini; la coppia ospita nella casa-pensione vicina al mare Stanley Webber-Alessandro Averone; Emilia Scatigno veste i panni di Lulu, giovane amica dei tre, che ricevono la visita imprevista di due uomini equivoci e minacciosi (Goldberg-Gianluigi Fogacci e Mc Cann-Alessandro Sampaoli).
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Un’atmosfera in refrein rivela un nido di inquietudine
La scena allestita da Ferdinand Woegerbauer apre su un soggiorno casalingo più o meno della metà del secolo scorso, epoca evocata anche dai costumi, a cura di Anna Maria Heinreich. Le pareti sono tinteggiate di verde ma anche bordate da mattoni a vista, un dentro-fuori che comprende e incornicia e che è già una rappresentazione mimata dell’attrito costante creato ad arte da Pinter nella pièce tra ciò che si vive normalmente nella cosiddetta intimità, tra quattro mura, e la sorta di implosione che avviene nei personaggi, schiacciati da un pericolo indecifrabile che incombe minaccioso dall’esterno.
Si intravede la cucina da cui entra ed esce Meg, casalinga insoddisfatta perennemente indaffarata a preparare un’eterna colazione a base di corn flakes, un personaggio di donna ancora seduttiva a cui Maddalena Crippa imprime forte l’ombra del decadimento mentale. Il signor Bowles ha l’atteggiamento dell’uomo rassegnato, anche alle infedeltà di Meg.
È seduto al tavolo e legge il giornale, si limita ad assecondare la moglie e ciò che avviene intorno, e a far entrare in casa il quotidiano del piccolo mondo di fuori tramite la lettura del meteo o delle notizie di cronaca.
I due attendono che scenda a fare colazione Stanley, loro ospite da tempo, un ottimo Alessandro Averone alle prese con la figura complessa del giovane pianista alienato. Stanley, che pur con la sua fragilità rappresenta colui che si ribella al malessere che incombe, risulterà più tardi la vittima sacrificale del cortocircuito che si verrà man mano a creare.
L’atmosfera sempre in refrain e piuttosto noiosa, caratterizzata dal tran tran quotidiano di due pensionati che gestiscono una piccola pensione poco frequentata, è resa movimentata dalla visita danzante di Lulu, bella ragazza con le sue belle inquietudini, ben impersonata da Emilia Scatigno, e poi dall’arrivo di due soci che mettono in piedi un traffico di parole dal carattere ambiguo, che dalla cordialità passa in breve a essere a tratti angosciante e infine violento.
In una scena centrale Goldberg-Fogacci e Mc Cann-Sampaoli sembrano davvero il gatto e la volpe con nelle grinfie il povero Stanley, che diventa un burattino inerme, un povero Pinocchio. In precedenza, Goldberg aveva approfittato delle grazie di Lulu durante la festa di compleanno organizzata da Meg per Stanley (che in realtà non compie gli anni).
Questo non-compleanno, alla maniera di Alice nel paese delle meraviglie, è occasione per Meg di rimettere il bel vestito tutto luce che le aveva regalato suo padre e che la faceva sentire la più bella del ballo, ma la festa si conclude con lei ubriaca che balla da sola e con un gioco al buio che si rivela molto pericoloso, soprattutto per Lulu e Stanley.
A quest'ultimo vengono di proposito rotti gli occhiali, e il gesto oltre ad assumere una valenza simbolica fa presagire scenari malevoli.
Parole come proiettili
Dove stia la verità, quali parole siano vere e quali no è difficile da dire: tutti a turno affermano la propria verità senza preoccupazione che sia anche quella di tutti gli altri. Sono i dialoghi, fitti fitti, dal ritmo serrato, a imprimere la marcia allo spettacolo.
La regia di Peter Stein e il lavoro attento degli attori omaggiano un testo difficile, denso di ribaltamenti e di intermittenze, che fa della parola il motore di un’azione che dilaga in modo imprevedibile. I dialoghi scritti da Pinter celano un congegno a orologeria che viene attivato fin dalle prime battute, che assumono il carattere dell’interrogatorio già in circostanze non sospette, come quando Meg chiede al marito dove sia Stanley, e poi lo ripropongono in modo sempre più inquietante, fino a farne un’arma, e non è più un vero linguaggio intelligibile a ferire, ma anche frasi prive di senso che però assemblate tra loro con toni angoscianti ben calibrati diventano i proiettili che finiscono Stanley.
I sei attori in scena hanno creato un’opera corale armonica, valorizzando con efficacia e maestria i caratteri dei personaggi ideati da Pinter.