IL CONFESSORE

Le tre lingue del confessore

Le tre lingue del confessore

Il monologo teatrale Il confessore nasce dall'incontro fra due uomini di teatro con una significativa esperienza di scrittura civile: Giovanni Meola, autore e regista napoletano, direttore del progetto Teatri & Legalità; e Aldo Rapè, attore, regista e autore siciliano, vincitore fra l’altro del prestigioso premio della critica di Avignone Off 2012 col testo Mutu.

La drammaturgia sviluppa il racconto di un immaginario prete siciliano – immaginario sì, ma ricalcato sulle figure di quei sacerdoti attivi e “non allineati” che operano contro la malavita con metodi schietti e perciò spesso sgraditi alla gerarchia religiosa – che raccoglie nel segreto della confessione le testimonianze di comportamenti mafiosi, ma si ritrova come solo strumento di ribellione la forza della parola etica, declinata nelle omelie rivolte ai fedeli. Mal tollerato dal vescovo, viene perciò trasferito in un quartiere degradato di Napoli, dove tuttavia incontrerà un sistema sociale del tutto simile a quello lasciato, salvo lo scarto di una lingua nuova da imparare.

Il testo in questione s’inserisce agevolmente nel filone delle scrittura civile antimafia (si può menzionare, uno per tutti, «Il fiore del dolore» scritto nel 2003 da Mario Luzi in memoria di don Pino Puglisi) affidando alla parola ferma dell’unico protagonista l’esplorazione del complicato rapporto fra un uomo-istituzione e la stratificata comunità che lo ha eletto a sua guida morale: nella dialettica travagliata che impone un equilibrio tra la confessione privata e l’orazione pubblica, il sacerdote cerca di recuperare alla società quei malavitosi di cui conosce l’anima invisibile; ma il suo sforzo viene frustrato da una nuova violenza, stavolta quella di un omicidio, che sembra chiudergli definitivamente le porte alla possibilità di agire sul mondo reale. Ed è allora che il confessore depone i paramenti del ruolo e si apre a sua volta a un’umana “confessione”; perché nella ferita di una sconfitta che sembra senza speranza terrena avverte l’urgenza di rendere visibile la sua storia, il paradigma di un isolamento progettato dall’indifferenza del potere, una battaglia combattuta con le armi fragilissime dello spirito, che lo prepara a diventare simbolo di un martirio retorico e senza conseguenze.

Fino a questo punto il lavoro si dispiega con l'evidenza di una narrazione semplice, con una drammaturgia che punta al realismo espressivo e alla sottolineatura emozionale. Ciò che rende più originale il progetto di scrittura è tuttavia l'impasto delle tre lingue che il sacerdote utilizza nella sua narrazione: il siciliano delle origini, che ricorre come lingua della memoria e della fiducia; il napoletano, lingua della deportazione e codice necessario a penetrare i recessi profondi della comunità; e infine l'italiano più neutrale della parola pubblica e della narrazione ufficiale. In questo gioco di slittamenti sonori e linguistici è ragguardevole la prova di Aldo Rapè, attore d’importante presenza scenica, fluido e determinato nell’affrontare le torsioni del testo e della parola. Una regia discreta e proporzionata lascia spazio alla bravura del solista senza invadere con eccessi di colore la linearità quasi giornalistica del testo.

Visto il 22-03-2014
al Theatre de Poche di Napoli (NA)