Il Corsaro di Giuseppe Verdi, in scena al Teatro Carlo Felice di Genova: un piccolo capolavoro ignoto ai più, che però viene riconosciuto come verdiano al primo accordo. Anche da chi non è proprio un melomane di eccelsa competenza. Piccolo capolavoro anche in senso stretto: due ore e 15, compreso un intervallo piuttosto consistente.
Prosegue quindi la politica del sovrintendente Claudio Orazi, che inserisce in stagione un numero sempre maggiore di opere poco conosciute. All’inizio il pubblico genovese, sempre piuttosto tradizionalista, storceva un po’ il naso: ora ha preso il gusto alle novità, come dimostra l’accoglienza a questo Corsaro.
Francesco Meli, il bello e bravo di casa
Complice probabilmente anche il fatto che il protagonista Francesco Meli è il bello e bravo di casa, con studi al conservatorio di Genova. Nel Corsaro è stato perfetto, anche se debuttava in questo ruolo: quasi inevitabile, visto che in Italia quest’opera negli ultimi anni è stata rappresentata al Carlo Felice nel 2005 e poi a Trieste nel 2013. E stop.
I lunghi applausi finali però sono andati all’insieme. Potente, evocativa e narrativa la regia di Lamberto Puggelli per questa coproduzione Carlo Felice e Teatro Regio di Parma. Semplice ma di forte impatto emotivo la scenografia di Marco Capuana, con l’uso potentissimo dei colori, dei tessuti che rappresentano le vele ma che in realtà avviluppano le azioni dei protagonisti e li costringono; e che dire di quelle cime, di quelle gomene, che richiamano l’attività marinaresca ma in realtà sono la ragnatela in cui spesso si trovano imprigionate le vicende umane?
Luci, scene, e un maestro d'armi
Fondamentale per gli scopi di Capuana e Puggelli, l’apporto alle luci di Maurizio Montobbio. Incalzante e obbligatoria, ma anche incoraggiante e di sostegno, la direzione di Renato Palumbo: che è notoriamente un super-esperto del Verdi giovane. Filologici i costumi di Vera Marzot.
Uno dei momenti più emozionanti è stato il duello tra mori e corsari, con armi e movenze di combattimento appropriate ai due schieramenti: merito del maestro d’armi Renzo Musumeci Greco e della versatilità dello staff di mimi del Carlo Felice. Un pot-pourri per i cori: un misto di turchi, odalische, corsari.
La genesi di questo Corsaro è stata tempestosa: tanto che Verdi non andò nemmeno alla prima dell’Opera, a Trieste nel 1848, per dissapori con l’editore. Forse pensava già a Luisa Miller: però un po’ di idee che saranno ampliate e sviluppate nel grande Verdi a venire ci sono già.
Verdi distratto da Risorgimento e Luisa Miller
I quattro protagonisti sono Corrado, corsaro in esilio che si ribella; la sua amata Medora; l’odioso e tirannico Pascià Seid; Gulnara, la preferita di Seid, schiava che ben presto si innamora del bel Corsaro e si ribella. L’intreccio scorre via velocissimo, come se Verdi avesse ordinato al librettista Giuseppe Maria Piave di fare in fretta: ma il pubblico così è più coinvolto.
L’opera appare molto agile, e quindi attraente per il pubblico moderno: alternarsi rapido di concertati, terzetti, cabalette e arie; poco spazio ad attimi di riflessione come gli adagi, qui poco richiesti se non inopportuni. Le scene di massa dei combattimenti, dell’harem o della nave sono molto curate ed efficaci come sempre negli allestimenti del Carlo Felice.
Qua e là piccole gemme: “E’ demone o nume, l’ignoto corsaro?”. Oppure la difficile aria d’inizio cantata da Medora (Irina Lungu) “Non so le tetre immagini”: che nel 1971 fecero capire subito di che pasta era fatta Katia Ricciarelli.
Corrado, incendiario e rivoluzionario. Ma decide Gulnara
E che dire di quando il corsaro Corrado dà fuoco alle polveri con il suo “All’armi, all’armi e intrepidi!”? Qui Meli rende visibile l’afflato rivoluzionario di Verdi nel 48. E Piave gli dà una mano mettendo in bocca alla preferita Gulnara le definizioni di oppressore e tiranno per il pascià Seid.
A proposito: molto buono anche il baritono Marco Cassi nella parte. La Gulnara di Olga Maslova sembra a tratti la vera protagonista dell’opera: volitiva, ribelle, autodeterminata, con un timbro di voce incisivo e abilissimo degli acuti che sostiene la volizione del personaggio. Meli è squillante, vibrante, potente, eppure riflessivo e dolente quando serve: ascoltate “Dell’innocenza il dì”.