Prosa
IL DISCORSO DEL RE

Il discorso del re: vive le roi

Il discorso del re: vive le roi

Il segreto per apprezzare una pièce teatrale?
Niente paragoni con la versione cinematografica (laddove vi fosse).
Qui, se non altro, per la scenografia (bellissima) a ottagoni rotanti di cui si sente tutto il macchinoso rumore teatrale.

Il discorso del re riporta, volenti o nolenti, alle magistrali interpretazioni di Colin Firth e Geoffrey Rush, nel film del 2010 diretto da Tom Hopper (4 premi Oscar non a caso). Per cui vale più che mai la regola sopraesposta: dimenticate Firth & Co. e concentratevi sulla versione tuttaitaliana di Filippo Dini e Luca Barbareschi. E non ne uscirete comunque delusi.

Una storia vera.
Inghilterra, anni '30. La balbuzie del principe Albert, Duca di York (Filippo Dini), crea serio disagio alla famiglia reale. Soprattutto quando re Edoardo VIII abdica per amore di Wally Simpson (vive le roi, vie l'amour!) e il principe Albert è costretto, suo malgrado, a prenderne il posto. Dramma istituzionale nell'Inghilterra del tempo: un re balbuziente? E, soprattutto, un re balbuziente in periodo di guerra? Inconcepibile. Niente stuntman vocali per il nuovo re Giorgio VI, ma una cura da uno strambo logopedista, Lionel Logue (Luca Barbareschi), australiano con la vocazione (fallita) di fare l'attore. Esercizi stravaganti, terapie canterine, psicologia familiare, sfoghi emotivi, training fisici. Finchè il re affronta (in diretta) i suoi fantasmi e passa alla storia come il motivatore radiofonico della sua nazione, sicuro e pacato, voce amica e autorevole contro l'ombra nera nazista. Un rapporto medico-paziente inizialmente spinoso che si trasforma nel tempo: stima, fiducia e, infine, una solida amicizia.

Quasi tre ore di (finte) balbuzie per uno straordinario Filippo Dini che se all'inizio rimanda la mente (accidenti!) al suo alter ego cinematografico, durante lo spettacolo ne fa - naturalmente - svanire il ricordo. Più macchiettistico il Lionel Logue di un bravo Barbareschi; echi fantozziani nella prima parte, mood che si riversa in un'interpretazione a tratti comica, gesticolata all'italiana. Forse un po' paraculo col pubblico, ma il bersaglio è centrato in pieno.

Battute a go-go, filone storico mantenuto e pubblico divertito, che esce dalla sala dimentico del film drammatico ma con una commedia in tasca.
 

Visto il 27-10-2013