Ci sono tutti e sei, i vincitori del 51° Concorso lirico Toti Dal Monte, ne Die Zauberflöte (Il flauto magico) di Mozart andato in scena al Teatro Mario Dal Monaco di Treviso. In lizza, nel giugno scorso, vi erano ben dieci ruoli, quattro non assegnati nella finale: quelli di Sarastro, Papageno, Monostatos e della Regina della Notte. A ricoprirli, quindi, son qui altrettanti cantanti già in carriera.
La prova della scena
Tra i talenti selezionati brilla in scena quello del tenore sudcoreano Hyunjung Andrew Kim, la cui smagliante, pura e morbida – oltre che sapientemente guidata – vocalità ci conquista con un Tamino trasognato, dolcemente fraseggiato e ben modulato nelle arie, con messe di voce esemplari. Nonché sapientemente scandito nei recitativi, mercé una dizione chiara e corretta.
Stilisticamente pertinente, ma come raggelata nel suo personaggio, di cui non sa rendere la tenerezza adolescenziale, è la Pamina del soprano spagnolo Aitanza Sanz. Peccato, perché le qualità vocali ci sarebbero. Nel suo breve intervento finale, la Papagena di Anna Battaglia-Vedovato risulta affettuosa e ben colorita. Vittoria Brugnolo, Daiana Aksamit ed Eleonora Filipponi ricoprono con buona pastosità e proprietà vocale, e con spigliata recitazione le tre Dame.
All''armena Maria Sardaryan vediamo consegnata Astrifiammante, la Regina della Notte. Come soprano di coloratura non è il massimo; la voce, timbricamente non accattivante, a tratti è diseguale e stride un po'; comunque supera indenne l'alta tessitura di «O zittre nicht» ed i funambolici picchettati di «Der Hölle Rache». Il baritono russo-americano Rodion Pogosov consegna un Papageno brillantemente cantato, e supportata da naturale e briosa comicità. Jerzy Butryn, giovane basso-baritono polacco, offre un nobile e scolpito Sarastro, dal timbro caldo e vibrante.
Le parti di contorno
Marcello Nardis tratteggia con schiettezza e nitore vocale il suo Monostatos; Alessandro Ravasio se la cava agevolmente quale Oratore e Primo Sacerdote; Nie Ling è il Secondo Sacerdote e Primo Armigero, Federico Abbiati il Secondo Armigero. I piccoli Khloe Kurti, Lorenzo Pigozzo e Giovanni Maria Zanini impersonano vocalmente, e con bravura, i Tre fanciulli. Impeccabile, oltre che ammirevole per morbidezza di impasto, il Coro Giovanile A.Li.Ve. Di Verona curato da Paolo Facincani.
In buca opera, con la consueta solerzia, l'ottima Orchestra di Padova e del Veneto. La dirige Giuliano Carella, magistrale scorta di un cast in buona parte di giovani leve. La sua concertazione appare molto equilibrata nelle scelte di tempi e sonorità; incede varia, fantasiosa e ricca di colori, ed è costantemente sostenuta da un aristocratico rigore stilistico. Mozart merita bene tanta attenzione.
Una messinscena, un solo curatore
Qui a Treviso – andrà poi al Verdi di Padova a dicembre, al Sociale di Rovigo più avanti - l'intero spettacolo ricade tutto sulle spalle di Paolo Giani Cei. Il flauto magico è saturo di riferimenti massonici, più o meno avvertibili, e di evocazioni dell'Antico Egitto. La scenografia s'impernia sull'enorme occhio stagliato sullo sfondo – tiene un labirinto per iride - e sei enormi pilastri rotanti, con immaginari geroglifici o neutri vetri opalini.
Suggestivo pure il serpente/drago metallico in apertura. I costumi, molto ben disegnati, offrono rigogliose damascherie, oppure curiosi abiti futuristici. Per le Dame e la Regina suggerimenti sadomaso, con fastidiosi schiocchi di frusta. Per Pamina, tanta candida purezza. Fascinoso il gioco di luci spioventi dall'altro, sempre cangianti.
Un po' troppa filosofia tra le righe
Spettacolo intrigante, certo. Giani Cei pone tuttavia - ma non è il solo - un eccessivo cerebralismo nella sua visione drammaturgica, andando a trasformare in dissertazione esoterico/filosofica uno singspiel che i suoi due autori – Schikaneder per il testo – pensarono come favola per un pubblico popolare e di bocca buona, alla ricerca di svago.
Per ognuno, la sua regia spinge verso una intensa drammaticità; solo per Papageno e Monostatos ricerca invece una calibrata, non banale comicità. Vediamo poi impiegati con accortezza un buon numero di figuranti – come gli schiavi condannati a spostare blocchi di pietra – facendo ben recitare anche i componenti del coro. Ma appare fuori posto la goffa “Quarta Dama” della svenevole Linda Zaganiga.