Omero e l'Odissea. Virgilio e l'Eneide. Due poemi con al centro un vincitore ed un vinto che, lasciate le ceneri fumanti di Troia, dvagano lungo le rotte del Mediterraneo prima di giungere all'approdo finale. L'amata Itaca per Ulisse, le sponde laziali per Enea.
Due “eroi erranti”, come recita il titolo della Trilogia d'autunno che porta in scena al Teatro Alighieri di Ravenna nella sua prima serata Il ritorno d'Ulisse in patria di Monteverdi, in una messa in scena interamente nelle mani di Pier Luigi Pizzi, e con l'acuta conduzione musicale di Ottavio Dantone.
Più di novant'anni, ancora una fucina d'idee
Proponendo un impianto scenico pulito, lineare, essenziale, di gusto neoclassico, basato su pochi colori fondamentali – servirà in parte anche per la serata successiva dedicata a Purcell – Pizzi vi immette pochi, ma vividi tocchi di colore in taluni costumi, disegnando con la consueta, frugale eleganza gli altri. La sua drammaturgia, poi, procede senza intoppi, pregnante, solida, con sapiente cura recitativa: è questo il suo consueto, pregevole incedere drammaturgico. Risultato anche di un lavoro di squadra che sta dietro, affiatata ed efficiente. Il taglio delle luci è di Oscar Frosio.
Regia musicale di eccellenza
Ottavio Dantone utilizza l'edizione critica di Bernardo Ticci, operando una personale scelta di colori strumentali, ed affidandosi alla 'sua' Accademia Bizantina, formazione di superlativa qualità. Risultato finale, l'intreccio di direzione e strumentazione ricrea un clima di ariosa musicalità, sfociando in atmosfere ora intense e drammatiche, ora immerse in elegiaci abbandoni. Sempre con una tavolozza cromatica varia, in un turbinio di contrasti dinamici, di tinte e di intrecci timbrici; con scelte di tempi che concedono giusto respiro al canto – magari sostenuto da un pulsante basso continuo - favorendo un 'recitar cantando' naturale e fluido.
Nelle parti di contorno troviamo, com'è naturale, una folla di nomi, e Dantone non ha fallito un colpo nelle sue scelte. Entrano per prime in gioco, nel Prologo, le capricciose forze sovrannaturali che schiacciano l'Umana Fragilità – è il bravissimo Danilo Pastore – e sono Chiara Nicastro (Fortuna), Paola Valentina Montanari (Amore) e Gianluca Margheri (il Tempo; poi sarà anche Giove). Quanto agli altri dei - Nettuno Minerva e Giunone - li rappresentano con grande perizia rispettivamente Federico Domenico Eraldo Sacchi, Arianna Venditelli e Candida Guida.
Un flirt almeno, in tanta tristezza
La tenera Melanto ce l'offre con viva freschezza Charlotte Bowden, intrecciando un appassionato flirt con l'Eurimaco di Žiga Čopi. Il trio dei Proci - Pisandro, Anfinomo e Antinoo - trova idonea impersonazione in Danilo Pastore, Jorge Navarro Colorado e Federico Sacchi. La bassa umanità dell'affamato parassita Iro incontra in Robert Burt un traduttore ideale, specie al momento del farsesco monologo « Chi soccore il digiun, chi lo consola?». Margherita Maria Sala è l'anziana Ericlea; Luca Cervoni rende pienamente la bucolica, serena pacatezza del savio Eumete.
Abbiamo lasciato per ultimi i tre personaggi cui s'impernia il melodramma di Monteverdi. Tratteggiare con dovizia di accenti un melanconico, confuso Ulisse, che poi si impenna nell'ira vendicativa, ed infine cerca l'abbraccio della casta consorte, è compito debitamente assolto da Mauro Borgioni. Lo fa con voce morbida ed omogenea, dal bel colore, suna olida colonna di fiato e buona gamma di sfumature, di chiaroscuri, di inflessioni. Persuasivo da subito nello smarrimento di «Dormo ancora, o son desto?», così come alla fine nella tenera, calma affettività del disvelamento finale.
Nei panni di una Penelope che quasi mai canta, ma sempre recita cantando, Delphine Galou incide ogni parola, ogni frase con vivida eloquenza, inarcando elegantemmente le curve melodiche dei singoli fonemi. Anche la figura di Telemaco trova in Valerio Contaldo un commovente, puntualissimo riscontro.