Impediti sin dal 1703 alla frequentazione dei teatri d'opera, a causa dell'ordinanza di Clemente XI che vi proibiva rappresentazioni mondane e licenziose, ai poveri romani – poveri per modo di dire, qui si parla di nobiltà e porporati di rango – rimase la consolazione di far eseguire, in chiese e palazzi, cantate ed oratori dal soggetto religioso, o quanto meno dal contenuto edificante.
Tale fu il caso nel 1707 de La bellezza ravveduta nel trionfo del tempo e del disinganno, oratorio su testo in volgare del cardinale Benedetto Pamphilj, attivo mecenate ed esponente di spicco della cultura romana. La cui intonazione era stata delegata ad un giovane e valente organista/compositore da poco giunto nell'Urbe, e subito ben accolto dall'intelligencija locale: Georg Friedrich Händel.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Quattro personaggi, quattro voci
Componimento affidato alle voci di quattro soli personaggi allegorici – in cui la Bellezza tentata dal Piacere, ammonita dal Disinganno e dal Tempo rinuncia infine alla mondanità - caratterizzato da una strabiliante ricchezza melodica e da un rigoglioso sostegno strumentale, Il trionfo del tempo e del disinganno - questo il titolo abbreviato – fu con ogni probabilità ben accolto, anche se mancano notizie del dove e quando.
E non solo fornì materiale per vari autoimprestiti successivi, vedi l'incantevole «Lascia la spina, cogli la rosa» - peraltro già presente nel melodramma Almira del 1704 - che finirà nel Rinaldo del 1711 con i versi «Lascia ch'io pianga mia cruda sorte»; ma rimane anche una delle composizioni migliori del grande Sassone, da lui tenuta in grande considerazione.
Al punto riprenderla a Londra, con qualche modifica, prima nel 1737; ed infine nel 1757 con nuovo testo in inglese e l'introduzione di vari interventi corali. Così ampliato, The Triumph of Time and Truth resta di fatto l'ultimo oratorio da lui presentato al pubblico d'Oltre Manica.
Sul podio, un autentico esegeta händeliano
Al Teatro Malibran di Venezia concertazione e direzione sono consegnate ad Andrea Marcon, eccezionale interprete del repertorio antico, oltre che assiduo e provetto esecutore händeliano. Al punto da essere stato insignito nel 2021 del prestigioso Händel-Preis, assegnato dalla Stiftung Händel-Haus di Halle. Il primo italiano a riceverlo, in tanti anni.
Sfruttando con saviezza ed abilità una compagine agile, colorita e intonatissima, che mette insieme orchestrali della Fenice ed alcuni esecutori specializzati nel genere barocco (eppur ben ora sarebbe che la Fondazione veneziana desse vita ad una sua stabile compagine barocca!), l'enorme talento del maestro trevigiano trasforma la sfilza di arie soliste (e duetti, e quartetti) della partitura in un susseguirsi di scene di immediata ed intensa valenza teatrale, sfruttando sia la bontà delle voci in campo, sia la flessuosità e varietà coloristica e dinamica dello strumentale. Di modo che tutta l'esecuzione può felicemente sfociare in esiti di avvincente teatralità.
Quattro voci, quattro caratteri
Quattro vocalità, in effetti, compiutamente virtuosistiche e timbricamente fascinose: a loro il compito – pienamente assolto – di dare corporeità e convinzione alle vivide melodie händeliane. Sono quelle del soprano Silvia Frigato nel ruolo più impegnativo - numericamente parlando - di Bellezza; del mezzosoprano Giuseppina Bridelli (Piacere); del contralto Valeria Giradello (Disinganno); del tenore Kristian Adam (Tempo).
Tutto in una mano sola
Lo spettacolo sta interamente nelle mani del noto ballerino e coreografo giapponese Saburo Teshigawara – recentissimo “Leone d'oro per la danza” della Biennale – che elabora una messa in scena minimalistica, eterea, rarefatta. In ogni momento, raffinatissima. I solisti sono lasciati liberi di cantare, con pochi movimenti solenni.
Spetta invece ad aerei ed espressivi danzatori - fra cui lo stesso Teshigawara – togliere staticità ad un libretto nato per essere cantato, ma non recitato. Lo fanno mediante dinamici e leggeri interventi coreografici, o statiche presenze silenziose, ad assecondare fedelmente musica e parola. Più presenti nella prima, che nella seconda parte dell'oratorio. Comunque sempre suggestivi, aerei, eloquenti, giammai invadenti.
Anche la scenografia è ridotta al minimo: tre ariosi cubi metallici variamente mossi e disposti. Alle luci Teshigawara delega il compito di ritagliare lo spazio. E per tutti ha creato costumi di una raffinatezza severa ed assoluta; alcuni neri o grigi, altri di riverberante candore.