Io, noi, tutti Moby Dick

Io, noi, tutti Moby Dick

500 pagine versus 65 minuti. Liberamente ispirato, liberamente perfetto. Una nuova produzione che fa parte degli Album di Corrado d'Elia, "eventi scenici" raccolti e familiari, proprio come un album di fotografie da sfogliare sul divano di casa.

Storia (arcinota) di un'ossessione 
Achab, capitano di baleniere, da anni si ostina a cercare la terribile Moby Dick, la balena bianca rea di avergli amputato una gamba e affondato una nave. Incurante dei timori della sua ciurma - assai poco propensa a rischiare la pelle - Achab entra nel delirio da vendetta.

Questione di incipit
Se Melville esordiva con "Chiamatemi Ismaele", stavolta è quell’Io davanti al titolo che rifinisce questo piccolo gioiellino teatrale: Moby Dick è d’Elia, d’Elia è Achab e, in fondo, Achab e Moby Dick siamo noi, con tutte le nostre ossessioni.
D’Elia ci aiuta a sfogliare una storia che veleggia tra epica, allegoria, simbolismo: cos'è l'uomo davanti ai suoi desideri e davanti alla forza della natura? E mentre il pubblico vive in diretta tensione ed eccitazione della storia del capitano e dell’imprendibile Moby, si ritrova (volente o nolente) a indagare il proprio Io, con una mano tesa verso grandezze e sogni spesso nemmeno sfiorabili.

Una voce, mille voci
Un’impresa progettuale, registica e interpretativa gestita con grazia e passione: immobile su un alto scranno, di bianco vestito, d’Elia è ora la balena bianca (appunto), ora il capitano, ora i titubanti marinai del Pequod. La voce è la stessa, eppure le voci sono diverse, in una profonda e perfetta solitudine.

Una bianca e sbalorditiva follia scenica
L’ideazione scenica di Chiara Salvucci è straordinaria: ti tira sul palco, ti porta sulla nave, dove cogli una plancia di comando circondata da decine di cannocchiali calati dall’alto con dei fili. E poi, ancora, vedi Moby Dick che sbuffa, il capitano che grida, la nave che rolla. Un andirivieni di protagonisti che restano sempre nello stesso punto e che invece ti sballottano per mari, come se anziché sulle sedie del teatro ci si trovasse sulla panche di legno del Pequod. Uno spettacolo liberamente ispirato che diventa libero di lasciarsi andare come una nave in tempesta tra il pubblico, imbambolato e complice.

Io, Moby Dick è una bianca e sbalorditiva follia scenica, un assolo di totale dedizione artistica. E, alla fine, tutti in piedi. Chapeau.