Arduo il lavoro per chi deve raccontare una messa in scena di Antonio Rezza soltanto attraverso la parola.
Le sue rappresentazioni si ribellano al tentativo di "versione in prosa", e la schietta addizione di categorie descrittive non può rendere il senso completo del testo scenico. In questo lavoro, scritto nel 1998, una serie di quadri rapidi, allucinati, contraddittori, riproduce la parabola di Io, ipertrofica soggettività che dimensiona il mondo, voce naturale di una comunità che coltiva individui e li lusinga di onnipotenza, ora madre che vuol imporre il colore dei capelli al nascituro, ora filantropo che costruisce il male che si prepara egli stesso a combattere. Io divora la vita e non ne genera; la liturgia sterile del seme si conclude in un lenzuolo. Il tratto espressivo non è mai puramente narrativo.
Rezza incide un solco diabolico tra l'«io» onnipotente della scena e l'«altro» che accidentalmente siede in platea; lo scherzo, lo scherno, la risata, sono le chiavi del "comico" che assottigliano ad intermittenza la "finzione" teatrale, saltando dal testuale al metatestuale, fino a che lo spettatore diventa egli stesso un personaggio involontario del testo. Tra un effetto corporeo e un solletico surreale c'è adeguato spazio per ironizzare con delizioso cinismo sulla vacuità della condizione umana.
Lo spettacolo non riuscirebbe a prender vita senza la formidabile esuberanza di Antonio Rezza, capace di una gestualità policroma ed espressionista e di una mimica straordinaria. Un narcisismo, il suo, tanto vistoso quanto necessario, ben motivato dalla consapevolezza di riuscire ad irrompere nell'immaginario dello spettatore e ad alterarne per qualche momento la conformità.
Splendido anche l’allestimento: i costumi, pensati e realizzati da Flavia Mastrella, plasmano il corpo e interferiscono con la parola, come un soggetto scenico; oppure, sospesi ad una struttura metallica, diventano scenografia; oppure le due cose assieme. Le parole finiscono qua; lo spettacolo invece rimane ancora per qualche giorno, ed è - pare superfluo aggiungerlo - assolutamente da vedere.