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IO, STEVE JOBS

Io, Steve Jobs: la storia di Jobs poco “io” e molto Jobs

Io, Steve Jobs: la storia di Jobs poco “io” e molto Jobs

Io, Steve Jobsche poi sarebbe stato bene anche come I-Steve Jobs, come nella miglior tradizione Apple - è uno spettacolo che ha molto e poco “io” insieme. Non è la voce di Steve Jobs a raccontarsi, ma quella di un altro Steve, Wozniak detto Woz, co-fondatore di Apple e per molti anni amico del genio e pirata scomparso dieci anni fa.

Una cronistoria narrata in una radio immaginaria, arrotato su uno sgabello; una storia che racchiude mito, genio (tanto) e sregolatezza (altrettanto): ne esce un Jobs visionario - parola di cui abbiamo fatto uso smodato, ma centrata - indomabile, irascibile, ligio al suo credo di frutta e lavoro. E cinico, inspiegabile nel suo rifiuto di una paternità evidente, avvolto da una cattiveria verso una figlia di pancia che lo voleva sottrarre ai figli di cervello. 

> GLI SPETTACOLI IN SCENA <


Lo Zeus che negli I-pod, I-Phone, I-pad partoriva i suoi Atena a ciclo continuo, viene pennellato com’era, senza sconti. Esposto al giudizio di chi ne ha vissuto la storia, di chi l’ha solo intercettata e di chi oggi, diciamocelo, la sua storia la rivede in ogni dove, anche su questo computer, che computer non è, è un Mac Book Air - ed è via questo mezzo sottile e profondo che ci si prova, a raccontarla la storia della storia.

Corrado d’Elia, veterano delle monografie dei Grandi, rispetto ai suoi consueti sessanta minuti espande la storia di Jobs fino all’ora e mezza; lo fa su uno sfondo familiare e riconoscibile, quello delle scene di Chiara Salvucci - ormai vincente marchio di fabbrica - con le luci di Christian Laface.

Un ritratto compresso e decompresso di un pirata controverso, che alla fine non sai se mettere tra i buoni o i cattivi. Finalone epico, che riprende inesorabile il discorso che Jobs tenne a Stanford con l’abutissimo “Stay Hungry Stay Foolish”, che insomma, va bene, ma realismo: non siamo tutti Steve Jobs. D’Elia si riappropria del palco bene, come nelle sue corde; la voce sottolinea gli stati d’animo e i capovolgimenti narrativi: mani al cielo, vocali esasperate, urla e anime incazzate, come l’addio ad Apple, la destituzione, i litigi, l’ansia da prestazione.

Io, Steve Jobs


Niente stravolgimenti creativi o spoiler: Jobs muore anche sulla scena, come dev’essere. La narrativa dello spettacolo apre però a spiragli: la morte è il bello della vita, toglie il vecchio e lascia spazio al nuovo. 

Last but not the least, strabilia la scelta della colonna sonora, che accarezza la cronistoria con impagabili refoli emotivi. Ogni tanto ti chiedi se avrebbe potuto sceglierne un’altra, di canzone. No, proprio no, ogni brano è un cherry picking perfetto per quel passaggio. A wither shade of pale, California Dreamin’ - solo per citarne alcune. Matchy, avrebbero detto i due Steve.

Dream on, cantano sotto gli Aerosmith. Dream on. Dream on. Dream on. Dream until the dream come true.
Avanti a sognare. Spazio al nuovo. 
I teatri hanno riaperto. Lunga vita ai teatri.

Visto il 30-10-2021
al MTM - Litta di Milano (MI)