Il palco è vuoto, non un fondale, non una quinta, solo, al centro, due sedie ed un parallelepipedo rosso. La luci di sala si abbassano. Restano accesi i fari del piazzato di scena, una luce bianca, fredda. Entrano, dai camerini, tre uomini il primo è alto e dinoccolato, completamente calvo, il secondo, per contro, ha una massa di capelli ricci sotto la quale a malapena si intravede un paio d’occhiali, il terzo, infine, non altissimo, non magrissimo, indossa una maglia del Palermo e con fare apparentemente timido saluta il pubblico, quasi fosse imbarazzato e sorpreso di trovarlo lì.
Lo spettacolo
I tre si siedono ed ecco che la magia del Teatro comincia. Già perché “ITALIA BRASILE 3 A 2” è uno spettacolo magico, magico come la partita alla quale fa riferimento nel titolo e la cui telecronaca ne costituisce il plot drammaturgico.Magico perché appena l’uomo calvo e quello capelluto, che sono rispettivamente il percussionista Fabio Finocchio ed il chitarrista Giulio Barocchieri, intonano una musica in stile sudamericano, il terzo, quello vestito con la maglia rosa-nero della squadra siciliana, incomincia a recitare uno dei monologhi più divertenti e commoventi che si siano sentiti negli ultimi anni.
Quell’uomo si chiama Davide Enia e siamo convinti che il teatro del nuovo millennio, questo teatro che così poco sta offrendo a chi lo ama e lo segue con passione, abbia trovato finalmente un nome che entrerà nel firmamento dei grandi. Pur restando gran parte dello spettacolo seduto Enia recita il suo monologo mentre le mani e le braccia si aprono e volteggiano a fendere l’aria di quel palco che solo fino a poco prima sembrava vuoto ma che ora è pieno, pieno dei personaggi raccontati da lui, pieno della sua voce, pieno della sua mimica, pieno delle musiche. Insomma pieno di Teatro.
Il racconto e i personaggi
Nel suo racconto i giocatori dello storico Mundial Spagnolo diventano dei personaggi a metà tra il mito e la parodia: il “quarantenne” Zoff, il “bellissimo” Cabrini, “il magro magro” Paolo Rossi, che nei momenti decisivi si materializza dal nulla, ed il “generoso” Ciccio Graziani e con loro diventano personaggi anche zio Peppe, Bruno Cuccurù, Vincenzo Filippone e tutti i parenti e gli amici con cui Enia, allora un bambino di otto anni, condivise l’esaltante esperienza d’assistere a quella partita davanti allo schermo di un TV Color Sony Triniton, acquistato per l’occasione, ed in questa variegata galleria di personaggi c’è posto anche per delle divagazioni tra cui una citazione parodiata di Carmelo Bene, che fu grande estimatore di Falcao, ed una dedicata proprio al celebre giocatore brasiliano che militò nella Roma, anzi a lui Enia riserva uno dei suoi rari momenti in piedi, poiché nell’imitare il suo speciale modo di calciare il pallone si esibisce in un divertente samba.
Il tutto è sì condito da un geniale umorismo, ma anche inframmezzato da due momenti di reale commozione, il primo quando viene ricordata la figura di Garrincha, il giocatore del Brasile anni ’50 morto dimenticato nel 1983, l’altro nella rievocazione dell’eroica fine della squadra del Dynamo Kiev, sterminata dai nazisti nel 1942, perché non accettò di farsi battere dalla squadra degli invasori.
Alla fine il pubblico, a cui l’attore ha praticamente impedito di applaudire per tutto lo spettacolo, è esploso in un fragoroso consenso che ha letteralmente costretto i tre interpreti ad un bis, nel quale, con la sua surreale comicità intrisa di poesia, Enia ha immaginato una utopistica partita tra le due Americhe vinta, naturalmente, dai giocatori di quella del sud.