Bastano poche battute di un qualunque tema per riconoscere una delle opere più amate dal pubblico di tutto il mondo, La Bohème di Giacomo Puccini. La povertà spensierata dei protagonisti, addolcita dai sogni di gloria e dall’allegria goliardica, è ambientata nella Parigi di metà ottocento dai “cieli bigi” e dai freddi inverni ed è probabilmente ispirata alla Milano della scapigliatura in cui Puccini ha vissuto nel periodo del conservatorio.
Al Teatro dell’Opera di Roma l’allestimento del regista Alex Ollé (La Fura dels Baus) colloca la vicenda nella contemporaneità in un luogo imprecisato, una anonima periferia di una moderna città, ma il linguaggio dell’opera si adatta con leggerezza a questo nuovo contesto, a sottolineare che i sogni ed i sentimenti giovanili non sono poi tanto mutati.
Un miniappartamento affollato
I quattro quadri in cui si svolge la vicenda sono stravolti rispetto alla tradizione, il primo ed il quarto, invece che nella soffitta, si svolgono in un miniappartamento di un grande condominio, affollato e promiscuo, che noi vediamo in trasparenza. Sono presenti gadget della modernità, un computer, un telefonino, condizionatori. Il Quartiere Latino, dove si svolge la vita all’aperto, è una piazza tra grattaceli opprimenti, affollata da personaggi di ogni tipo che ben rappresentano un ambiente urbano caotico e vitale. In un lato il Caffè Momus, con le sexy cameriere dai capelli azzurri, dove gli amici spiantati riescono, grazie alle smancerie di una voluttuosa Musetta, a far pagare il conto al maturo spasimante Alcindoro.
L’episodio si conclude con l’arrivo trionfale della Ritirata Militare guidata dal Tambur Maggiore nell’entusiasmo della folla. Una scena d’insieme di grande fascino in cui spicca la prestazione dei ragazzi della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera. Il terzo quadro, quello che rappresenta la Barriera d’Enfer è meno felice, i grattaceli costituiscono uno sfondo piatto ed i personaggi, al limite del proscenio, non sembrano inseriti nell’ambiente, manca quella profondità di campo che meglio descriverebbe una ambientazione esterna.
L’ultima scena con Mimì che muore, calva, strappa lacrime di commozione, quando esplode, violento e disperato, il singhiozzo finale dell’orchestra che suggella la perdita dell’innocenza e l’incontro con le durezze della vita adulta.
Una qualità che meritava più applausi
La direzione di Herik Nanasi è un miracolo di equilibrio, con un’orchestra in stato di grazia che lascia sempre spazio ai cantanti. Anita Hartig è una delicata e fragile Mimì, perfettamente calibrata, Giorgio Berrugi non delude con la sua “gelida manina”, Olga Kulchynska è una intrigante Musetta, grande presenza scenica, sprizza allegria e sensualità con il suo valzer al caffè Momus. Quando l’epilogo drammatico è ormai imminente e la commozione si fa strada, l’aria “Vecchia zimarra” con Antonio di Matteo, affettuoso Colline, rompe la tensione con prolungati applausi.
Massimo Cavalletti è un perfetto Marcello dalle mille sfumature, ironico o drammatico, altrettanto centrato è lo Schaunard di Simone del Savio. Inoltre va sottolineata la perfetta dizione da parte di tutti che ha reso quasi superflui i sopratitoli. Nonostante la qualità complessiva della serata il pubblico romano non si è sprecato con gli applausi che sono stati cordiali, ma non adeguati al livello dello spettacolo.
Spettacolo: La Boheme
Visto al Teatro dell’opera di Roma.