Doveva essere una serena occasione di festa, la prima de La bohème che ha aperto il 69° Festival Puccini di Torre del Lago, dando anche avvio alle celebrazioni per il centenario dalla morte del compositore, l'anno a venire. Però qualcosa è andato storto.
La prima bordata l'aveva sparata Vittorio Sgarbi, attaccando ferocemente le proposte del regista Christophe Gayral e dello scenografo Cristophe Ouvrard - calarne la trama nel pieno delle vivaci manifestazioni del Sessantotto parigino – accusandoli addirittura di aver 'stuprato' il capolavoro pucciniano. Ed invitando nel contempo Alberto Veronesi – responsabile musicale del festival - a non dirigerla più.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Un assist imprevisto
La seconda bordata l'ha sparata lo stesso Veronesi, fornendogli un assist incredibile. Guidando cioè tutta l'opera con una benda nera sugli occhi, dopo aver prima dichiarato, rivolto al pubblico del Gran Teatro all'aperto, «Non voglio vedere queste scene!». E ribadendo poi ai giornali più volte a sua polemica posizione di dissenso «perché questa scenografia e questa regia non c’entrano niente con l’opera del Maestro». Foto che han fatto il giro del mondo.
Un atteggiamento incredibile: irrispettoso nei confronti del pubblico, scorretto nei confronti dell'orchestra -incerta se restare o no - del coro, dei cantanti, delle maestranze. Ed inevitabilmente accolto da lanci di fischi e di buh, mentre volavano dagli spalti persino grida di “vergogna”, “buffone”, “scemo”. Nondimeno Veronesi è andato avanti imperturbabile per la sua strada, tenendosi la sua benda nera. Forse un po' trasparente. Sennò come dare gli attacchi al palcoscenico?
Vietato vietare. O no?
La reazione della Fondazione viareggina non si è fatta attendere, scaricando il direttore milanese e togliendogli le recite successive. Poi si vedrà come andrà a finire; probabilmente, a carte bollate. Ma in fondo, cosa aveva di così trasgressivo lo spettacolo di Gayral & Ouvrard? Non molto, visto che negli ultimi decenni ne abbiamo viste di cotte e di crude. Decisamente più scabrosa, provocatoria e spietata era La bohème consegnata da Graham Vick al Comunale di Bologna nel 2018, che vinse pure il Premio Abbiati.
Detto questo, per noi la regia nel complesso scorreva fluida e pertinente. Anche se nella soffitta parigina Marcello non disegna paesaggi, bensì manifesti rivoluzionari. Poco male, è arte anche quella. Anche se Benoît vi irrompe accompagnato da arcigni rampolli: buona la trovata. Anche se una Mimì in minigonna fuma una sigaretta mentre si descrive a Rodolfo, poi si spoglia e i due finiscono a letto. E dai, per una volta vediamo dei veri amanti...
Niente lattaie e spazzini, solo inservienti di un cabaret
Al posto della Barriera d'Enfer c'è l'interno di un cabaret, dove gli inservienti rassettano la sala. Dunque, niente lattaie e spazzini; ma sì, la cosa funziona. Alla fine Mimì non sembrerebbe proprio in punto di morte, se spunta la tentazione di un ultimo amplesso. Forse non era il caso. Solo l'apparizione finale di decine di giovani contestatori con un mare di cartelli inneggianti a non si sa che, non dice nulla e smantella del tutto il drammatico climax finale. Questa sì, tutta da tagliare. Ma diremmo che le trasgressioni finiscono qui. E di qui a dire che la regia penda troppo a sinistra, esaltando una nouvelle gauche estremista - peraltro ormai morta e sepolta - ce ne corre...
Borghesi e rivoluzionari a confronto
Però quella del cabaret è un'idea non male e ben sviluppata – così almeno non troviamo la solita cancellata del dazio – e prima ancora tutta la scena del Cafè Momus è costruita con maestria, ricca di bei personaggi, di colori, di sapide trovate. Memorabile quell'ironica irruzione di placidi borghesi, con madri, bimbi e suorine che sfilano alteri sotto striscioni con i motti Dio, Patria, Famiglia. Ed è forse questo, chissà, che ha dato fastidio a qualcuno. I costumi li hanno disegnati a quattro mani Tiziano Musetti e Edoardo Russo.
E finalmente, la musica
La concertazione di Alberto Veronesi, malgrado la mascherina nera a conti fatti fila liscia, porta avanti senza intoppi, ma pure senza particolari pregi. Non resterà scolpita nella nostra memoria. E per fortuna la brava orchestra ha tenuto duro, senza sbandamenti: bravissima.
Sul palcoscenico, la compagnia di canto è particolarmente indovinata. E giustamente, tutta di giovani. Il soprano vicentino (d'adozione) Claudia Pavone porta in Italia la sua prima Mimì - debuttata a Dresda lo scorso anno - mostrando di avere tutte le qualità necessarie. Il personaggio è totalmente centrato, con giusto abbandono sentimentale, e supportato da un'emissione morbida e flessibile. La sentiamo fraseggiare e colorire con garbo, modellando elegantemente la linea vocale.
Rodolfo è nelle mani di Oreste Cosimo: tenore dalla voce calda, generosa, di lucido smalto, fluida e raggiante, di bella presenza scenica e grande comunicativa. Doti che subito conquistano la simpatia generale. Forse solo l'interprete in se stesso latita un po', ma vista la serata...
Tutti intorno cantano bene
Alessandro Luongo consegna un Marcello rifinito a dovere, ardente e simpatico. Federica Guida porta in scena una Musetta musicalissima, oltre che deliziosa. Civettuola, ma non per questo svenevole. Antonio di Matteo è un Colline di livello superiore; Sergio Bologna delinea un simpatico e svagato Schaunard. Buone parti di fianco: Francesco Auriemma come Benoît, Alessandro Ceccarini come Alcindoro, Marco Montagnana come Parpignol. Il Coro del Festival, guidato da Roberto Ardigò, ha lavorato bene. Idem le voci bianche preparate da Viviana Apicella.
Reazioni finali del pubblico contrastanti nei confronti della regia, calorose con gli interpreti. E sonore proteste verso il direttore.