Dopo essere apparsa nel novembre 2023 al Comunale di Bolzano, La bohème guadagna ora il Teatro Sociale di Trento. Siamo nell'ambito dell'ultima programmazione lirica affidata dalla Fondazione Haydn all'austriaco Matthias Lošek, ideatore di quattro stagioni ricche di contenuti e fortemente improntate alla contemporaneità. Stagioni con molti nuovi titoli -alcuni usciti dal Concorso Fringe- il cui allestimento ha sovente coinvolto altre analoghe realtà europee. A succedergli, è stato designato il compositore Giorgio Battistelli.
Direttore artistico, ma anche regista
Lošek sigla il suo fruttifero rapporto con la Fondazione anche in veste di regista, ambito a lui congeniale, affrontando appunto La bohème, sviluppata ovviamente in chiave nettamente moderna, ma senza stravolgerla. Nella sua personale rilettura il capolavoro di Puccini diviene un vero e proprio “Requiem per Mimì”, con fissa in alto una immensa croce a quattro braccia, variamente illuminata, che alla fine si staglia candida e luminosa, pari a quella di Cristo. E che vede morire la ragazza – stesa a terra come un Cristo deposto - attorniata e compianta dalla muta folla dei personaggi di contorno, richiamati dalle quinte.
Un'esecuzione semiscenica
In realtà, siamo a mezza strada fra esecuzione scenica e concertistica. L'Orchestra Haydn al gran completo, compagine come sempre impeccabile, è sistemata in fondo al palcoscenico. Il direttore Timothy Redmond la dirige volgendo le spalle agli interpreti ed al coro, seguendosi attraverso dei monitor.
Soluzione incongrua dal punto di vista musicale, e foriera di occasionali, inevitabili disallineamenti: a ben vedere, tocca ai cantanti 'portare' l'orchestra, e non viceversa. Arduo poi regolare il volume orchestrale, stando dietro alle voci; e difatti, malgrado l'indubbia attenzione e bravura direttoriale del maestro inglese, i livelli sonori -in una piccola e rispondente sala qual è il Sociale- risultavano talora squilibrati e debordanti.
In scena solo l'essenziale
In scena pochi, essenziali elementi, quali un manichino, due tavoli, molte sedie, un pezzo di muro con la scritta There is no future -Marcello è oggi un writer- che permettono rapidi cambi di scena a vista. I nostri eroi son vestiti d'un casual trasandato, solo Rodolfo indossa cravatta ed un elegante 'gessato'.
Mimì appare in scena subito, vestita dimessamente accompagnata da una bimba in tutù che tornerà alla sua morte, lavorando di lato come midinette. Musetta entra in abito rosso da vamp, accompagnata da una petulante fotografa, ma si leva la parruccona bionda quando intona «Quando men vo'» sola davanti ad un microfono.
Al Cafè Momus, il coro tutto in nero resta ai lati, i bambini al centro abbigliati come scolaretti inglesi. Tutti immobili. Non sempre parole e comportamenti coincidono; e qua e là, spuntano trovate da brutto regietheater, come i camerieri che alla fine restano in mutande, o Parpignol simile al mostruoso clown protagonista in It di Stephen King.
Il lavoro di Lošek, insomma, ha del buono e del meno buono, senza convincere sino in fondo. E qualche buh! rivolto alla regia alla fine s'è sentito. Per la cronaca, scene e luci sono di Norbert Chmel, i pochi e non memorabili costumi di Oliver Mölter.
Una compagnia tutta di giovani
Tanti giovani presenti in sala - segno di savio proselitismo nelle scuole – e tutti giovani in palco, a comporre un cast decisamente ben affiatato. Il soprano romeno Alexandra Grigoras infonde buon corpo ad una Mimì di ragguardevole livello vocale, dipanata con gusto ed eleganza, risultando sulla scena tenera e credibile.
Alessandro Scotto di Luzio gigioneggia un tantino forse nella parte di Rodolfo, ma ha dalla sua una vocalità solare e generosa, ed un fraseggio caldo e vibrante. Ci piace. Matteo Loi canta il suo Marcello benché un po' indisposto, in assenza di sostituto. Ha fatto del suo meglio e lo apprezziamo, e comunque il personaggio c'è tutto, baldo e prestante.
Musetta, Colline e gli altri
La frivola Musetta sta nelle mani Galina Benevich: il soprano russo-israeliano se l'è cavata bene per l'indubbia espressività scenica, meno per una voce ben amministrata ma di per sé non esaltante. Le diamo un voto sopra la sufficienza, insomma; mentre Matteo D'Apolito (un solido Colline) e Gianni Giuga (buon Schaunard) si meritano un bel otto.
Il valido basso Lorenzo Ziller si prende carico di Benoît, di Alcindoro e del Sergente; Marco Gaspari è Parpignol, Federico Evangelista il doganiere. Corretto l'apporto sia del coro Ensamble Vocale Continuum, sia delle Voci Bianche dell'Istituto Musicale “A. Vivaldi”; maestri del coro rispettivamente Luigi Azzolini e Anita Degano.