Con misura e dedizione, Michele Placido interpreta in questa rappresentazione diretta da Paolo Valerio il vero protagonista de La bottega del caffè di Carlo Goldoni: Don Marzio.
Tolto quasi del tutto l’accento partenopeo, fa muovere il suo personaggio con naturalezza tra le vicissitudini della commedia, un classico ricco di ironie e di tratti d’attualità che proviene dal Settecento ma che a vari livelli di lettura restituisce un’istantanea efficace di diversi problemi che attraversano il presente.
Il vizio del caffè tra ludopatia e fake news
Eugenio, interpretato da Emanuele Fortunati, è affetto da ludopatia; Don Marzio, impersonato da Michele Placido, è un creatore reiterato di fake news; Pandolfo, con la complicità del Conte Leandro-Flaminio (rispettivamente Vito Lopriore e Michelangelo Placido, figlio dell’attore pugliese) portano avanti una casa da gioco da il gatto e la volpe, che potrebbe anche essere una di quelle del tutto truffaldine che si incontrano sul web.
Il bravo Francesco Migliaccio (Ridolfo) con i suoi borsellini rossi pieni di zecchini, ci riporta agli effetti dell’esaltazione malata delle logiche dell’economia e del commercio che affliggono il mondo occidentale: tutto appare leggibile con chiarezza eppure la rappresentazione è in costume, si svolge tra parrucche bianche e abiti à panier, segue canoni e in sostanza il copione dell’originale scritto da Goldoni, e questo conferma la forza intatta del testo.
La scena presenta la celebre piazzetta veneziana a ridosso di un enorme edificio suddiviso in settori, una sorta di condominio di cui si vedono gli appartamenti e gli interni. Al piano terra, accanto alla bottega del caffè, c’è la bisca dove Eugenio passa moltissimo tempo dilapidando i suoi averi. Ai piani superiori si trovano le stanze della ballerina Lisaura (Anna Gargano) e quelle che ospitano Placida (interpretata da Maria Grazia Plos), moglie abbandonata da Flaminio e arrivata in città nel suo travestimento da pellegrina.
Tra i tavolini si muovono traffici amorosi e d’affari che si intrecciano tra loro: Don Marzio, con il suo chiacchierio arioso, accentratore ma apparentemente innocuo, muove invece i fili di diversi destini. Con il coro degli altri protagonisti, Michele Placido nella sua interpretazione pone l’accento sulla simpatia del suo personaggio, smorzandone i tratti di ambiguità, lasciandone però in risalto l’attitudine all’intrigo. La messa alla berlina di Don Marzio nel finale assume così un taglio più comico che drammatico.
Una commedia corale che rispecchia società
La drammaturgia esalta l’aspetto di storia corale della commedia, efficaci e carichi di fluidità risultano i movimenti di scena creati da Monica Codena, per la regia di Paolo Valerio. I tre atti sono separati da brevi quadri statici in cui gli attori indossano la bauta, tipica maschera veneziana, che ne cela i tratti generando una sorta di inquietudine da favola buia nello spettatore, accentuata dal commento sonoro.
La bottega del caffè è il punto di ritrovo, il microcosmo che convoglia tanti individui diversi che non rivelano il loro vero volto, che portano attaccate alla pelle le maschere che si indossano in società. Manca forse qualche coriandolo nero gettato qua e là, a ricordare l’aspetto meno giocoso, da riso amaro, che il suo autore ha impresso alla commedia e al suo straniante finale.