A 370 anni dalla sua prima rappresentazione al Teatro Sant’Apollinare di Venezia ha -finalmente- debuttato al Teatro Alla Scala La Calisto di Francesco Cavalli in un’applauditissima produzione che ha visto sul podio il Maestro Christophe Rousset e la regia di David McVicar.
Un’esaltazione dell’erotismo e della sensualità
Scritta in un periodo in cui la Repubblica Serenissima, in netto contrasto con i dettami controriformisti, era luogo di libertà personali, filosofiche, scientifiche, politiche ed anche sessuali, ed in cui il teatro si stava affrancando dalle rappresentazioni private e si aprivano i primi teatri pubblici, l’opera racconta di Giove che vuole conquistare la ninfa Calisto, seguace di Diana, che però lo respinge.
Su suggerimento di Mercurio Giove si presenta allora sotto forma di Diana, con cui lei accetta di ritirarsi in un luogo appartato per scambiarsi baci ed effusioni. Quando appare la vera Diana, Calisto cerca ancora un approccio amoroso ma la dea la scaccia. Dopo una serie di vicissitudini che coinvolgono tra gli altri il dio Pan ed Endimione, il vero amante di Diana, Giunone trasformerà Calisto in orsa e Giove la trasfigurerà in cielo nella costellazione dell’Orsa maggiore.
Un libretto, quello di Giovanni Faustini, che nei suoi versi manifestamente espliciti è un’esaltazione dell’erotismo e della sensualità e che al giorno d’oggi, soprattutto per i suoi risvolti gender-fluid, susciterebbe più di una polemica, mentre nella Venezia del XVII secolo faceva divertire il pubblico che riempiva i teatri.
Regia dinamica e vitale
David McVicar, che si ispira al clima di libertà che dominava la Venezia dell’epoca, costruisce lo spettacolo all’interno di una scenografia fissa, progettata da Charles Edwards, che rappresenta un osservatorio astronomico seicentesco, che però strizza l’occhio più alle Fiandre che al Mediterraneo, dominato da un enorme cannocchiale: chiaro riferimento a Galileo, costretto ad abiurare pochi anni prima.
Se la scena non muta, a mutare nel corso dell’opera sono i rapporti tra i protagonisti, sui quali McVicar compie un lavoro registico minuziosissimo, agendo sulla mimica e creando sempre nuove situazioni che catturano l’attenzione e danno vita ad uno spettacolo dinamico, spigliato e godibilissimo, grazie anche agli sfarzosi costumi di Doey Lüthi.
Un'interpretazione da sala d'incisione
In buca, per l’occasione in parte sopraelevata e circondata da una pedana sulla quale si muovono i cantanti, Christophe Rousset, alla testa di un selezionato gruppo di musicisti “storicamente informati” che riunisce membri dell’Orchestra del Teatro alla Scala e dell’ensemble Les talents lyriques, regala una concertazione straordinaria, attenta alle dinamiche, ricca di contrasti, che non si limita ad accompagnare ma letteralmente pulsa e palpita, partecipando alle passioni dei protagonisti, che, per la elevata qualità espressa, meriterebbero la sala d’incisione.
Chen Reiss è una Calisto delicatamente sensuale, dal fraseggio raffinato e disinvolta nelle agilità, cui si contrappone la Diana di Olga Bezsmertna, il cui timbro morbido e corposo le consente di passare dalla struggente passione con Endimione alla divertita eccitazione dei passaggi in cui deve interpretare Giove en travesti.
Giove che nelle fattezze maschili è interpretato dall’ottimo Luca Tittoto, elegante nel fraseggio ed impeccabile nei recitativi, affiancato dallo straordinario Marcus Werba, un Mercurio musicalissimo e dalla simpatia contagiosa.
Non da meno è l’elegante ed appassionato Endimione di Christophe Dumaux, mentre sul versante femminile si segnalano l’Elegante Giunone di Véronique Gens, il vitalissimo e spigliato Satirino di Donata Mizzi e la divertente cacciatrice vogliosa di Chiara Amarù.
Una produzione perfetta sotto ogni aspetto, salutata da applausi calorosissimi, assolutamente da non perdere.