Tre serate, tre en plein di pubblico al Teatro Olimpico. Questo il lusinghiero risultato portato a casa per l'edizione XII del Festival Vicenza in Lirica da La Cenerentola, che chiude l'edizione 2024. Come da tradizione, i protagonisti del lavoro di Rossini uscivano – stavolta solo in parte – dalle fila dei vincitori del concorso “Tullio Serafin” organizzato a giugno. A seguire, un laboratorio 'opera-studio' d' approfondimento musicale, volto anche al conseguire naturalezza recitativa ed affiatamento scenico.
In realtà, sono solo tre i vincitori – tenendo conto che il ruolo di Dandini non era stato assegnato – che alla fine ritroviamo sulle tavole dell'Olimpico. Sono il tenore venezuelano Luis Magallanes, un Ramiro cantato con garbo, voce calda e lucente, buon stile belcantistico, accurata ricerca dei chiaroscuri. Se metterà a fuoco ed affinerà ulteriormente le sue belle doti, prevediamo una carriera tutta in ascesa.
Poi v'era il mezzosoprano Caterina Dellaere, che vediamo formare con il soprano Silvia Porcellini – solo finalista del concorso - una dinamica accoppiata Tisbe/Clorinda, in un tandem vocalmente adeguato e scenicamente assai spigliato. Infine il giovane basso coreano Huigang Liu, che infonde rotonda e salda vocalità, oltre che spessore espressivo alla figura di un Alidoro in gessato da sussiegoso manager.
Interpreti giovani, carriera in avvio
Mancante la vincitrice Tamar Ugrekhlidze, interprete del titolo è divenuta una finalista del concorso, il mezzosoprano polacco Magdalena Urbanowicz, che porta in scena un'Angelina/Cenerentola gradevole scenicamente, ma non sempre vocalmente impeccabile, dato che talune agilità non risultano proprio puntuali; ma che in compenso centra bene il tenero, trepidante carattere del personaggio. Il materiale c'è, senza dubbio; però il suo accostamento alla vocalità rossiniana - così peculiare, quasi unica – abbisogna di maggiore affinamento.
Il basso-baritono Gianpiero Delle Grazie sostituisce il vincitore Eugenio Maria Degiacomi, impossibilitato a venire a Vicenza, e ci offre un gustoso Don Magnifico, carico di quella frenetica, irresistibile esuberanza tipicamente rossiniana. La figura di Dandini cade sulle spalle del baritono Carlo Sgura, che la risolve con notevole brio vocale e indubbia incisività attoriale.
Per un dramma giocoso, due letture differenti
Due sono le vie per affrontare La Cenerentola di Rossini. Esaltarne la componente fiabesca e un tantino larmoyant, come fece Emma Dante all'Opera di Roma, o metterne in primo piano il lato farsesco e giocoso. Questa l'indirizzo scelto dal regista Bepi Morassi, con un occhio al vecchio teatro di varietà, per questa messinscena vicentina che ingranata la marcia non si ferma più, irresistibilmente spiritosa, e nella quale i personaggi hanno continui lampi e guizzi di immediata comicità.
Sullo spazio storico ed immutabile dell'Olimpico (del quale viene però sfruttato anche il sottopalco, qui sta la cantina di palazzo da cui emerge ebbro Don Magnifico) sono abilmente intervenuti gli allievi della Scuola di Scenografia e Costume dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, seguendo lo spunto del 'teatro nel teatro'. Dunque dimenticate il focolare, la cucina e quant'altro: siamo di fronte ad una compagnia di giro, ed Angelina è la servant di due capricciose attricette, le sue sorellastre.
Sei immensi bauli, che contengono di tutto
Sotto la guida dello scenografo Bruno Antonetti pongono in scena sei sole cose. Ai lati due voluminosi bauli che girati rivelano altrettanti camerini. Al centro altri tre grandi bauli che se riuniti formano un palco con tanto di sipario dietro, se aperti o scomposti cambiano di volume o rivelano al bisogno un lettuccio, una scaletta, altre cose.
Gustosi sono pure i costumi disegnati dagli studenti veneziani, seguiti in questo caso da Anna Fabris ed Ester Campagnaro, che puntano ora su colori smorzati - vedi un Don Magnifico un po' barbone, con le pezze al sedere - ora su d'un glamour appariscente, come la guêpière sexy di Clorinda, poi avvolta in una iperbolica pelliccia di volpe, o come il Dandini in rutilante raso rosso, con tanto di fascia con scritto O' Princepe. Per chi non avesse capito chi è...
Un valido sostegno strumentale
L'Orchestra dei Colli Morenici brilla per nitidezza e duttilità, anche per merito della concertazione di Alessandro Vitiello, sempre sull'onda di un andamento spedito e leggero. Direzione magari a tratti forse esuberante e sin troppo stringata – i concertati ci son parsi un po' affrettati – ma comunque complessivamente valida, musicalmente e teatralmente.
I componenti del Coro maschile VOC'è, preparato da Alberto Spadarotto, assolvono bene il loro ruolo, benché visibilmente spaesati al momento di doversi muovere in scena e recitare un po'.