La classe, di Vincenzo Manna, è un testo di teatro civile, che tratta i temi dell’adolescenza e dell’integrazione, mettendo sotto la lente d’ingrandimento i modelli educativi e le dinamiche sociali di una società avviata inesorabilmente verso la decadenza.
Lo spettacolo ha preso forma a partire da una ricerca realizzata attraverso 2000 interviste a giovani tra i 16 e i 19 anni, sulla loro relazione con gli altri, intesi anche come diversi, e sul loro rapporto con il tempo, inteso come capacità di legare il presente a un passato non ancora così remoto e a un futuro irrimediabilmente prossimo.
Il risultato è un innovativo esperimento di data storytelling, nel quale i giovani attori protagonisti interpretano i profili, le storie e le esigenze degli studenti di un Istituto Comprensivo specializzato in corsi professionali di avviamento al lavoro.
“L’uomo e la gallina: misteri dell’Universo”
Da qualche parte in Europa, disoccupazione, conflitti sociali e criminalità minano il già precario equilibrio di una comunità sempre più smarrita e spaventata, “costretta” a convivere con migliaia di disperati, in fuga da guerre e persecuzioni, che hanno trovato rifugio presso un immenso campo profughi chiamato “lo Zoo”.
In questa realtà è inserito l’Istituto di avviamento professionale, all’interno del quale si forma una classe di recupero crediti dell’Istituto, composta da sei studenti considerati “problematici”.
Con il suo sguardo cinico ed esterno, il Preside (Claudio Casadio), scandisce per il pubblico il tempo della vicenda, utilizzando, per descrivere i suoi studenti, l’interessante metafora delle galline: una specie comunemente considerata sciocca e pigra (“mangiano, dormono, si accoppiano”), che pensa però al bene della comunità e questo atteggiamento le rende capaci di azioni straordinarie.
Un vuoto esistenziale tristemente attuale
Albert (Andrea Paolotti), professore di storia intorno ai 35 anni, è un perfetto John Keating del terzo millennio, che riesce a creare una breccia nel disagio interiore e relazionale di questi ragazzi, convincendoli, con un sottile stratagemma, a partecipare a un bando europeo per le scuole superiori sul tema “I giovani e gli adolescenti vittime dell’Olocausto”.
Intraprendendo questo percorso, tutti (professore compreso) sono costretti a guardarsi dentro, facendo i conti con uno spaventoso vuoto esistenziale. Un abisso interiore che lo scenografo Alessandro Chiti e il regista Giuseppe Marini colmano con l’aspetto “vissuto” e disordinato dell’aula scolastica e con il ritmo incalzante della pièce, tra luce e buio notturno.
Il conflitto, in atto ormai da settimane, tra la Russia e l’Ucraina, rende tristemente concreto il testo di Vincenzo Manna. Parole che richiamano posizioni opposte, ma ben definite: la passione civile che Albert riesce a trasmettere alla maggior parte dei suoi studenti, soprattutto a Talib (Andrea Monno), si scontra con l’atteggiamento da bullo indisponente – eppure più realista e altrettanto appassionato – di Nicolas (Federico Le Pera).
Particolarmente significativo, infine il look aggressivo e provocante di Valentina Carli, nella scena della festa di Natale, durante la quale Arianna, ubriaca ma determinata, tenta di sedurre il professore.