Una camera da letto americana degli Anni ’50, una donna in sottoveste e un uomo in canotta: è La gatta sul tetto che scotta. Il capolavoro che nel 1955 valse a Tennessee Williams il secondo Premio Pulitzer è un melodramma dal quale emergono una coralità di conflitti familiari e personaggi articolati, un’opera dedicata ai contrasti familiari, uno spaccato della società americana degli Anni Cinquanta: conflitti di natura sessuale all’interno della coppia, questioni finanziarie che coinvolgono l’intera famiglia e infine dilemmi esistenziali propri dell’individuo.
Già ripreso con successo da Hollywood nel 1958 con Liz Taylor e Paul Newman diretti da Richard Brooks, viene riproposto da Cirillo curando scrupolosamente ogni dettaglio, anche scenografico. Vero valore aggiunto al cast, infine, è senza dubbio la collaudata intesa tra i due interpreti principali, Vittoria Puccini e Vinicio Marchioni, forti delle recenti collaborazioni nella miniserie tv “L’Oriana” (2015) e al cinema con “Tutta colpa di Freud” (2014).
In "La gatta sul tetto che scotta" la famiglia Pollitt si riunisce per l’ultimo compleanno del vecchio e ricco patriarca: nonostante sia malato terminale di cancro, per consentirgli di vivere con serenità le ultime settimane, la clinica comunica l’avvenuta guarigione all’uomo e alla moglie Ilda. Il figlio minore Gooper e la moglie Mae, così come anche l’altro figlio Brick e sua moglie Maggie, sono invece consci del vero destino dell’uomo: mentre i primi pensano a come mettere le mani sull’eredità, l’altra coppia è impegnata a ricomporre i cocci del proprio matrimonio. Maggie la gatta, vera arrampicatrice sociale, è anche follemente innamorata di suo marito, tuttavia non riesce a farsi desiderare. Brick, un ex atleta caduto nell’alcolismo, è sempre evasivo con la bellissima moglie, senza mai degnarla di alcuna considerazione. La malattia di papà Pollitt, la condizione di Brick e l’eredità, porteranno le tre coppie a scontrarsi in un’atmosfera pervasa da ipocrisia e bugie, mentre Brick comprenderà il suo malessere solamente attraverso le dure conversazioni con Maggie e papà Pollitt. Si scoprirà che l’ex atleta era legato al suo compagno di squadra Skipper da un sentimento platonico, ma l’amore non ricambiato ha spinto quest’ultimo prima all’alcolismo e poi alla morte, lasciando Brick straziato e con una sessualità ambigua. Infine, sarà mamma Ilda ad arginare l’avidità di Gooper e Mae, riportando Brick sulla giusta strada con l’aiuto di Maggie e papà Pollitt.
La regia di Cirillo mantiene un ritmo incalzante che, unito alla densità dei fatti, rende la rappresentazione avvincente, consentendo al pubblico di goderne tutto d’un fiato. Vinicio Marchioni (Brick) incarna in maniera sublime lo sconforto e l’indolenza, riuscendo assolutamente credibile nel ruolo dell’alcolizzato distrutto dal dolore. Paolo Musio, orgoglioso e sarcastico papà Pollitt, caratterizza il suo personaggio con la frustrazione e il risentimento, spezzando in maniera divertente e con tempistica perfetta la drammaticità della rappresentazione e i suoi picchi di phatos. Vittoria Puccini è una bellissima e disperata Maggie, un’ottima interpretazione da sexy provocatrice e sensuale calcolatrice. Buona anche la spregiudicatezza di Gooper (Francesco Petruzzelli) e Mae (Carlotta Mangione) e l’angoscia di mamma Pollitt (Franca Penone). Infine le scene, i costumi e le musiche, conferiscono alle elevate interpretazioni un’armoniosità che contribuisce ad amalgamare la storia in ognuna delle sue parti.