Dichiarata Patrimonio dell’Umanità nel 2023 da parte dell’Unesco, l’Opera Lirica Italiana è stata festeggiata in un concerto promosso dal Ministero della Cultura all’Arena di Verona e trasmesso in mondovisione, che ha costituito una sorta di anteprima della stagione 2024 alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, della Presidente del Consiglio e del Ministro della Cultura.
Quasi 500 musicisti diretti da Riccardo Muti e Francesco Ivan Ciampa
Per l’occasione si sono formati un’orchestra di oltre 160 professori ed un coro di circa 300 elementi provenienti dalle Fondazioni Liriche e dai Teatri di Tradizione italiani, diretti nella prima parte dal Maestro Riccardo Muti e nella seconda dal maestro Francesco Ivan Ciampa e dal Maestro del coro Roberto Gabbiani.
Come sempre accade in occasione di questi eventi trasmessi in televisione è purtroppo lo spettacolo a doversi adeguare alle esigenze televisive e non viceversa; regola a cui non è sfuggita neanche questa serata.
La prima parte, che ha visto sul podio il Maestro Muti, prevedeva l’esecuzione di alcuni preludi e cori da opera preceduti dall’Inno nazionale italiano e dall’Inno alla gioia. Nonostante le dimensioni notevoli dell’orchestra la concertazione di Muti è stata caratterizzata da grande compattezza ed altrettanta raffinatezza dal punto di vista timbrico.
Ad un’impeccabile ouverture del Guglielmo Tell di Rossini hanno fatto seguito una sinfonia dalla Norma di Bellini da cui trasparivano gli accenti della tragedia ed un preludio dal Nabucco incisivo e carismatico, anche se la pagina sinfonica più coinvolgente è stato l’Intermezzo dalla Manon Lescaut di Puccini.
Toccanti e di grande impatto emotivo entrambi i cori verdiani ovvero “Patria Oppressa” da Macbeth e l’immancabile “Va pensiero” e, stupefacente nella sua grandiosità, la monumentale pagina tratta dal prologo del Mefistofele di Boito, a suggellare il profondo legame tra Muti e Toscanini che la scelse per il concerto inaugurale del teatro alla Scala ricostruito dopo i bombardamenti nel 1946. Unico neo l’amplificazione non opportunamente calibrata che, soprattutto nel prosieguo, quando sono stati coinvolti anche i solisti, ha costituito il vero tallone d’Achille del concerto.
Una sequenza di voci senza un vero progetto drammaturgico
Se la prima parte, complice probabilmente l’autorevolezza del Maestro Muti, ha dato l’impressione di maggiore compattezza, nella seconda l’avvicendarsi delle arie più nazionalpopolari senza un vero progetto che le legasse idealmente l’una all’altra ha dato più l’idea di una sorta di “Sanremo della lirica”, in cui i vari interpreti si esibivano uno dopo l’altro, alcuni in borghese, altri in abito di scena con qualche accenno di regia, scelta quest’ultima dipesa probabilmente dalla disponibilità dei costumi nei magazzini dell’Arena.
Il continuo avvicendarsi di brani diversi e magari solo accennati alla lunga tendeva ad omogeneizzare il livello della proposta. Perché ad esempio alla cabaletta “Di quella pira” non anteporre l’aria che la precede “Ah sì ben mio” con cui costituisce un unicum? Oppure a “Che gelida manina” perché non far seguire anche l’altrettanto celebre “Sì mi chiamano Mimì”, contribuendo a ridurre la frammentarietà della proposta?
Va tuttavia riconosciuto che la presenza di alcune tra le voci più prestigiose del panorama internazionale ha regalato esecuzioni di eccellente livello in una sorta di “The best of” della lirica che ha pienamente appagato il numeroso pubblico.
Se Juan Diego Flórez ha conquistato l’anfiteatro per il suo timbro luminoso e la sua straordinaria comunicativa sia nella succitata “Che gelida manina” dalla Bohème che ne “La donna è mobile” da Rigoletto, non da meno hanno fatto Ludovic Tézier nel delineare un Gérard protervo nel bellissimo “Nemico della patria” dall’Andrea Chénier e Luca Salsi, perfido Scarpia nel finale del primo atto di Tosca, impreziosito dagli sfarzosi costumi firmati da Hugo de Ana.
Tra i vari interventi spiccavano anche il mercuriale Figaro di Nicola Alaimo nella cavatina “Largo al factotum” dal Barbiere di Siviglia e l’appassionata Madama Butterfly di Eleonora Buratto, ed “Una furtiva lagrima” dall’Elisir d’amore cesellata da un Francesco Meli perfettamente a suo agio in un repertorio a lui congegnale, mentre il Calaf interpretato da Vittorio Grigolo e protagonista dell’aria “Nessun dorma” è parso eccessivamente estroverso.
Molto riusciti i momenti dedicati alla danza che hanno visto protagonisti Roberto Bolle e Nicoletta Manni, ovvero il Coro a bocca chiusa da Madama Butterfly e, soprattutto, l’intermezzo da Cavalleria rusticana, mentre non ha del tutto convinto quello sul Dies Irae dal Requiem di Verdi: composizione che non si presta particolarmente a questo tipo di esperimenti.
Il compito di fungere da collante tra un brano e l’altro era stato affidato ad Alberto Angela, Luca Zingaretti e Cristiana Capotondi, che hanno traghettato la lunga serata sino al termine con solida professionalità nonostante qualche inciampo dovuto alla scarsa dimestichezza con il mondo dell’opera lirica ed a testi che hanno confermato la modestia degli autori televisivi italiani.
Grande successo di pubblico che ha riservato applausi entusiasti a tutti gli interpreti.