La Merda dedicata ai 150 Anni dell’Unità d’Italia è «una tragedia in tre tempi: Le Cosce, Il Cazzo, La Fama e un controtempo: L’Italia»,così la definisce lo stesso Ceresoli. È un monologo femminile che prende vita attraverso la straordinaria Silvia Gallerano, che dà corpo e voce a questo grido, a questo disperato ed estremo tentativo di districarsi da un fango nazionale, da una merda quotidiana, ultimo prodotto di quel genocidio culturale della società dei consumi – la nostra società – già preannunciato e scritto da Pier Paolo Pasolini.
Un totalitarismo quello attuale più duro e infido di quello fascista, poiché ci annienta quotidianamente con dolcezza, senza clamori, ma costantemente, come diceva Pasolini: la televisione è autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di comunicazione, questi nuovi mezzi di comunicazione e di informazione hanno lacerato, violato l’anima del popolo italiano. Infatti nel monologo Silvia Gallerano ripete più volte che chi si abitua vince.
La Merda nasce dall’acuta intuizione di questa attrice talentuosa e intelligente di sviluppare dentro a nuovi testi, nuovi lavori una maschera sia fisica che vocale di sua invenzione, da lei creata e trovata. Questa maschera a tratti tragica, a tratti comica - a cui ci si affeziona subito – vive su una partitura drammaturgica creata su misura: la parola si fa viva, si fa carne; il testo è una sorta di stream of consciousness alla Joyce, in cui la protagonista, una giovane donna brutta si scatena in una confessione pubblica senza pudori né remore, rivelando al pubblico i dettagli più intimi e raccapriccianti della sua vita votata al successo, al suo desiderio di farcela, alla sua ricerca ossessiva della bellezza – inseguendo di volta in volta un modello di bellezza diverso, a seconda dell’esigenza di mercato. I suoi sono ostinanti tentativi di aprirsi un varco nella società delle cosce, grazie al suo coraggio, alla sua volontà e alla sua resistenza.
La Merda è un’invettiva, un grido del corpo che letteralmente ci vomita addosso la sua storia personale in un flusso di pensieri, parole, aneddoti: suoni strazianti, rumori di urla contratte, trattenute, implose.
La regia è semplice, immediata, ridotta ai minimi termini: al solo corpo dell’attrice.
Il testo arriva al pubblico con un’immediatezza straordinaria, un flusso di parole inarrestabile che investe, travolge e scuote; lo spettacolo è costruito secondo un impianto estetico in cui la donna - che dà voce e corpo al proprio flusso di coscienza - riesce a creare allo stesso tempo uno spettacolo popolare e un’opera d’arte dal sapore contemporaneo, in cui si compie una riflessione sulla condizione femminile, sul concetto di bellezza e sulla storia di questo paese.
La partitura fisica è minimale, ma efficace: il corpo dell’interprete, attraverso la sua maschera e la sua vocalità, si offre al pubblico senza pudore, come se fosse un tributo sacrificale, pronta a venire sbranata, sembrata, distrutta. Una scrittura scenica e drammaturgica che nasce dal corpo, letteralmente dalla carne e alla carne ritorna, dentro a una rigidissima partitura estetico - registica.
Seduta su una sorta di trono da arbitro di tennis, nuda, con un microfono in mano, Silvia Gallerano inizia una lucida autocritica sul suo corpo, cercando di incoraggiare e dare fiducia a chi, come lei, combatte per il suo sogno, vuole farcela nella vita. Si ostina, resiste, sopporta, cede a un opportunismo che in realtà non le appartiene, ma grazie al quale può dirsi uguale alle altre, può considerarsi una «femmina nuova», una donna indipendente che lotta con le unghie e con i denti per raggiungere il suo scopo, sviluppando un feroce arrivismo, unico mezzo per raggiungere i propri obbiettivi nel mondo attuale.
Un monologo femminile, scritto da un uomo, che dà sfogo a un flusso interiore, alla voglia di raccontare la storia della “merda” culturale ed esistenziale in cui ci troviamo. Un racconto che si muove tra il passato e il presente della protagonista, una ragazza comune, con un sogno fin troppo comune e diffuso tra le ragazze di oggi: voler apparire, avere successo.