La piecè di Ceresoli è dotata di una pregevole partitura. Il crescendo del narrato coinvolge e convince col tempo anche lo spettatore più ritroso, anche grazie alla maestria interpretativa di Silvia Gallerano.
“Ognuno in Italia sente l'ansia, degradante, di essere uguale agli altri nel consumare, nell'essere felice, nell'essere libero: perché questo è l'ordine che egli inconsciamente ha ricevuto, e a cui deve obbedire, a patto di sentirsi "diverso". Mai la diversità è stata una colpa così spaventosa come in questo periodo di tolleranza. L'uguaglianza non è stata infatti conquistata, ma è una falsa uguaglianza ricevuta in regalo.” E’ così che Pier Paolo Pasolini nei suoi Scritti corsari, datati 1974, stilizza il prototipo dell’uomo italiano alle soglie dell’era dei consumi. E non può essere che questo il più utile e sintetico rimando per raccontare il pluripremiato La Merda di Cristian Ceresoli, che in questi giorni riempi le sale della Galleria Toledo di Napoli.
Silvia Gallerano, protagonista di quest’assolo, nuda e sola al centro del palco, seduta su di un alto sgabello d’acciaio, indossa solo un microfono, un rossetto fiammante e la maschera che il suo volto forma plasmando la schizofrenica disperazione del proprio personaggio. Una tragedia in tre tempi, che attraversa le miserie e le banali ambizioni di una ragazza “brutta” ad ascendere a quel posto in paradiso (la Tv) garantito a tutti - almeno per quel quarto d’ora di notorietà - dalla “società dei consumi” e riscattare così la propria libertà. Il tutto passa attraverso il ciclo naturale del nutrimento, trasformazione, defecazione tramite un flusso che - per la forza espressiva quasi fisica, della Gallerano - la liberi, la purifichi da tutto questo, la rinnovi. Ma poi rimangia quella sua stessa putrescente secrezione, l’unica disponibile in una società sterile e capace di produrre solo massa: di nutrimento, di persone, di sentimenti, di ideali.
Di ciò che Pasolini metaforizza irridente, dei costumi e delle leggi del suo tempo, nel celebre Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975), tutto è divenuto realtà con indubbia evidenza. Lo stesso Pasolini è divenuto parte della massa e se, non ignorato, il suo pensiero è divenuto parte, suo malgrado, della massa stessa; un nutrimento “alternativo” ma pur sempre fast-food.
Ne risulta che il pubblico presente in sala senta forte il dramma, ma non più scandalizzato come negli anni ’70, assiste ben cosciente di ciò che si narra sentendolo esterno da sé. Forse perché, a quasi quarant’anni dalla pubblicazione degli Scritti corsari, la critica al consumismo è essa stessa un’attività da talk-show, a cui assistere passivamente e “la merda” è, seppur bene conservata, manzonianamente (Piero Manzoni – Merda d’artista - 1961) in barattolo.
La piecè di Ceresoli nonostante attinga ad un’ispirazione non del tutto autentica è dotata di una pregevole partitura. Il crescendo del narrato coinvolge e convince col tempo anche lo spettatore più ritroso. La sincopata alternanza dei toni, dei caratteri e delle tensioni emotive, raggiunge il suo compimento anche grazie alla maestria interpretativa di Silvia Gallerano.