Prosa
LA MERDA

La dimensione tragica di questo brillante fiume di merda

Silvia Gallerano
Silvia Gallerano

Molto è stato già detto su La merda, il giustamente fortunato lavoro di Cristian Ceresoli e Silvia Gallerano che ha fruttato sold out, riconoscimenti e premi nazionali e internazionali (Edimburgo Fringe Festival); molta quindi anche l'attesa per questa replica bolognese dello spettacolo, già in scena Novembre all'ITC di San Lazzaro.

E sono state aspettative premiate quelle del pubblico per lo più giovane - un seguito da concerto rock, com'è stato definito - che numerosissimo ha accolto la pièce al teatro Duse. La gestazione del lavoro - a partire dalle prime letture aperte al Valle, attraverso il rodaggio delle tantissime repliche - è giunto ad un esito riuscitissimo e coerente.

Come già sottolineato dalle recensioni che hanno fatto da spartiacque nella comprensione di uno spettacolo così semplice e nello stesso tempo così intenso, La merda non si spaccia per un lavoro sperimentale: è teatro tradizionale, molto ben scritto e molto ben interpretato.

Pochissimi elementi fondanti: il corpo dell'attrice, nuda e sola in scena; il testo, un monologo che suona come una confessione, in tre parti simmetriche rispetto al climax interno; non manca nemmeno il personaggio nella sua concezione ormai classica: prodotto cioè di una trasformazione che coinvolge corpo e voce, portatore di un'autenticità non necessariamente naturalistica. La vocalità dell'attrice è evidentemente cercata, ma è portata con tale coerenza e capacità che rimane credibile e non disturba - così come in effetti potrebbe, data la scelta.

In scena, oltre a lei e al microfono, solo uno sgabello altissimo che ricorda quello dei cantautori da club o dei narratori - ma anche un trespolo da foca al circo; sgabello che, nel dipanarsi della vicenda, può essere letto come una metafora della posizione che la protagonista ha nei confronti della storia - o dell'esistenza stessa, raccontata e vissuta come se sempre lei fosse la candidata durante un provino televisivo: costantemente sotto le luci, pronta a mettersi a nudo (sic), a dare dimostrazione di sé.

Ma la stessa logica potrebbe essere applicata a tutti gli elementi scenici: le letture possibili sono moltissime a diversi livelli - il che conferma il valore del testo e la riuscita della regia. La nudità può essere intesa come generatrice di significati (vulnerabilità, degradazione, mancanza di difese e via su questa direttrice in base al filtro che lo spettatore pone, al suo sguardo).

Di sicuro è l'elemento straniante, sul quale inevitabilmente l'attenzione torna a tratti; quello che frena le risate; quello che non permette di sfuggire alla dimensione tragica di questo brillante fiume di merda che l'antieroica protagonista brillantemente ci riversa addosso.

Visto il 16-04-2015
al Duse di Bologna (BO)