L’allegoria brechtiana tanto amata da Walter Benjamin risplende d’arte nella messa in scena de “La resistibile ascesa di Arturo Ui” di Claudio Longhi. Lo rivelano i premi (Ubu attribuito a Micheletti come miglior attore non protagonista del 2011 e il Premio della Critica vinto nel corso della medesima stagione); lo hanno confermano la ribalta e la platea del Verdi di Padova durante e alla fine dell’estasiante rappresentazione del 10 Gennaio.
Poco da dire quindi in più rispetto a quanto sia già stato detto o dimostrato se non questo: “l’opera d’arte è tale se fa pensare molto, senza far pensare a nulla” e così l’arte di Brecht riproposta eccellentemente ai giorni nostri attiva connessioni allegoriche e inpensate tra un passato oramai mitico per noi, quello hitleriano (al tempo della composizione troppo presente) e un’attualità che puzza di pericolo sociale.
L’arte di Brecht si ripropone come ancora vera, oggi, nella sua morta e disgregata, quindi eterna, rappresentazione allegorica del reale. La rappresentazione della vicenda statunitense fa da specchio alla realtà storica dell’ascesa hitleriana, è vero, ma risuona stranamente familiare all’orecchio contemporaneo. Tale familiarità non può essere tuttavia catturata dal concetto, tanto che cercare di “definire le comunanze” tra le due situazioni storiche non risulterebbe solo improprio ma analiticamente impossibile; essa può tuttavia essere magistralmente rappresentata come arte del frammento.