Lo spettacolo La rivolta dei brutti, per la regia di Stefano Cordella, mette al centro della scena alcune tra le tematiche più attuali e insieme più scottanti dei nostri giorni. Fino a dove possono spingersi la rabbia e la frustrazione, se unite e alimentate da un maschilismo schiacciante?
Un fatto di cronaca
Il punto di partenza è un accadimento tragico che si è manifestato il 23 maggio del 2014, a Isla Vista, in California. Quel giorno, un ragazzo di nome Elliot Rodger, prima di togliersi la vita, compie un massacro: uccide sei persone e ne ferisce molte altre. La ragione? Era un “incel”, per usare un’etichetta che indica tutto il sottobosco – che vive soprattutto online – di uomini involontariamente celibi, che si sentono sessualmente e sentimentalmente scartati dalle donne; perciò le odiano. L’omicida sognava “un mondo senza sesso, con punizioni per chi lo fa” e, fosse stato per lui, le donne sarebbero state internate nei lager a morire di fame.
La resa sul palco
Uno dei punti di pregio dello spettacolo risiede nella scelta della trama e altresì dell’ambientazione. La vicenda che si srotola sotto gli occhi degli spettatori, invero, è calata nell’ambiente italiano e, più precisamente, in un normale appartamento di Milano. I coinquilini sono due fratelli che si barcamenano con i problemi di ogni giorno: l’affitto, il lavoro, l’università. Sembra tutto apparentemente ordinario, normali i litigi tra fratelli che si estrinsecano in un linguaggio esplicito e anche scurrile che, se sgradito in un altro contesto, qui diventa cifra di realismo e verosimiglianza.
Anche l’abbigliamento degli attori maschi in scena (Salvatore Aronica, Francesco Errico e Filippo Renda) - l’abitazione è frequentata spessissimo da un altro uomo, un amico del fratello minore - ben si presta a rendere tangibile l’ordinarietà della situazione, indossano quasi sempre la tuta con tanto di cappuccio proprio come si usa oggi tra i ragazzi.
La semplicità della casa è resa da un’altrettanto scarna scenografia: quattro sgabelli neri e una lampadina che cala dal soffitto, a illuminare ora l’uno ora l’altro personaggio. D’un tratto, a scompaginare le carte ci pensa Emma (Giorgia Favoti), una misteriosa e affascinante giovane che d’improvviso entra nella casa e nelle vite dei tre uomini.
I danni della solitudine, quando s’unisce al maschilismo
L’ambito quotidiano nasconde tutte le sue insidie, da quelle meno visibili a quelle via via più manifeste. Lo spettacolo, difatti, in cui si avverte la complicità tra i quattro artisti sul palco, ha il merito di sottolineare come la violenza possa avere tante facce; quella fisica, rappresenta solo il polo estremo di uno spettro che va dai pregiudizi radicati, mascherati da bonarie prese in giro, all'aggressività verbale nei confronti delle donne.
È facile degenerare nella violenza - ci fanno vedere gli attori sulla scena - in presenza di determinate condizioni, una su tutte, l’impiego massico del web, che ha la facoltà (tramite blog, forum e quant’altro) di amplificare il risentimento e il rancore degli uomini che si sentono trattati male dalle ragazze, dalle quali non si ritengono considerati.
Infine, spiazzante si percepisce il colpo di scena finale, ben congegnato a livello autoriale, che restituisce una maggiore complessità all’intera performance, nonché un valore aggiunto alla sceneggiatura di Renda.
Peccato che ad accogliere gli artisti in sala, quando alla fine si sono accese le luci, ci fossero gli applausi di un pubblico ben poco numeroso, a dispetto dell'attenzione che lo spettacolo avrebbe meritato.