Emma Dante riscrive la seicentesca fabula nera dal titolo "La Vecchia Scortecata" e lo fa in maniera originale, grottesca ed essenziale, confermando il successo già ottenuto nel 2017 al Festival dei Due Mondi di Spoleto.
“Lo trattenimento decemo de la iornata primma” (la decima fiaba della prima giornata) de Lo Cunto de li Cunti di Giambattista Basile: Emma Dante riscrive la seicentesca fabula nera dal titolo La Vecchia Scortecata e lo fa in maniera originale, grottesca ed essenziale, confermando il successo già ottenuto in occasione della prima dello spettacolo andato in scena nel 2017 al Festival dei Due Mondi di Spoleto.
Doppia anima, umoristica e noir
Sulla scena la bellissima bruttezza delle due sorelle Rusinella e Carolina, interpretate rispettivamente da Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola. Unite da un analogo destino di bruttezza e miseria, reso sempre più gravoso dall’avanzare dell’età, le due vecchie zitelle si ritrovano a condurre una vita di isolamento e chiusura, in una forma di doppio legame che le rende al contempo indispensabili e insopportabili l’una per l’altra. Diventiamo così immediatamente spettatori di un lessico famigliare incentrato su un continuo battibeccare, recriminare, rimembrare che assume di volta in volta i toni della beffa e del sarcasmo.
Una scena quasi vuota: due sedie, un castello giocattolo e una porta stesa in proscenio sono gli unici elementi, simbolici ed evocativi, che fanno da sfondo a un silenzioso gioco esistenziale che diventa via via sempre più realistico e tagliente. Il confine tra immaginifico e realtà si assottiglia sempre più e le due sorelle si muovono in bilico sul sottile confine che separa l’essere protagoniste dall’essere vittime, sempre più consapevoli, di un destino beffardo e a tratti universale.
La prima parte dello spettacolo vede le due sorelle completamente assorte nel frenetico tentativo di levigazione del dito mignolo. L’intento è quello di scortecare il dito raggrinzito dalla vecchiaia, per soddisfare il re, follemente innamorato della voce di Rusinella e desideroso di toccare, attraverso la serratura della porta, almeno un dito di quella che lui crede una giovanissima fanciulla. Questa operazione iniziale, divertente e colorita, rimanda inevitabilmente, per opposizione, al ben più intenso e gravoso scuoiamemto finale, in una sorta di gioco di specchi e rimandi, quasi una sineddoche.
Lo spettacolo oscilla tra questi due poli, caricandosi di emozioni e raggiungendo il suo culmine nella scena dell’incontro tra il re e Rusinella, una danza primitiva, ironica e tragica, che fa cadere il velo di magia e speranza, caratteristica saliente della favola, e riporta le due vecchie sorelle alla cruda realtà. La scoperta della reale identità di Rusinella, rappresenta altresì l’espediente drammaturgico che permette allo spettacolo di cambiare registro, rivelando una doppia anima, umoristica e tragicamente noir.
Il dialetto come “vezzo”
Colpisce l’uso di una lingua arcaica ma mescolata a elementi di un lessico contemporaneo e grottesco, che oscilla tra il respingente e l’accogliente. I protagonisti usano il dialetto napoletano arricchito da espressioni gergali, proverbi e invettive popolari. La lingua può essere considerata l’unico orpello, l’unico vezzo concesso da Emma Dante, all’interno di una struttura narrativa essenziale rispetto all’originale scrittura di Basile.
Una fabula universale
Il disegno drammaturgico alla base dello spettacolo ha i colori del paradosso e dell’antinomia. D’Onofrio e Maringola impersonano sorelle, re e fata, in un susseguirsi di caratterizzazioni posturali, accompagnate da un linguaggio mimetico e simbolico, la cui precisione tecnica ed estetica e i continui cambi vocali enfatizzano, fino all’estremo, il confine che separa maschile e femminile. La scelta di far interpretare a due attori uomini la femminilità, se da una parte richiama un modello teatrale antecedente la commedia dell’arte, dall’altra sottolinea l’azione levigatrice della vecchiaia, favorendo l’instaurarsi di un meccanismo di proiezione emotiva collettiva che dal personale rimanda all’universale: Rusinella e Carulina siamo tutti noi.